Antonio Sapiens – Illustro chi illustra

Le vacanze sono finite, ormai da un po’… e la vita normale torna a fare il suo corso. E con lei anche “Illustro chi illustra” torna a raccontare gli illustratori che mi colpiscono suoi social. Questa settimana ho scelto Antonio Sapiens, che ha una sola linea guida: sconvolgerti. E ci riesce benissimo.

Racconta chi sei, dove vivi, come ti identifichi nel mondo dell’arte e qual è il tuo percorso accademico. Mi chiamo Antonio Proietto, su Instagram sono Antonio Sapiens, su Facebook gestisco da diversi anni la pagina Delicatessen e ho diversi profili a causa delle numerose segnalazioni ricevute. Ho 45 anni e vivo a Crotone. Ho una laurea in Scienze Motorie e lavoro come allenatore di nuoto, preparatore atletico e insegnante. Per cui non mi definirei un fumettista ma un supplente di arte popolare, se proprio dovessi trovare una definizione.  

Che musica ascolti mentre disegni? Consigliaci un pezzo. La musica è parte del mio processo creativo, ma in una fase successiva all’ideazione di una qualsiasi opera, quando mi è indispensabile per far fluire l’idea sul foglio con il giusto ritmo. Il genere dipende dal contenuto, o dall’umore. Quindi posso passare dai Converge ai Built To Spill, dagli Orbital a Joanna Newsom. Per dire alcuni ascolti recenti, il pezzo che consiglio è quello che sto ascoltando mentre scrivo, “My Favorite Things” di John Coltrane, perfetto per incorniciare il mio umore in questo periodo dell’anno. 

Quali sono il tuo materiale preferito su cui disegnare e il tuo strumento preferito con cui disegnare? Uso la carta e la matita, dallo schizzo iniziale al disegno definitivo. Poi inchiostro con pennarelli, in bianco e nero o, recentemente, a colori. Qualche ritocco in digitale e nient’altro. Quindi ancora legato al supporto fisico, anche se credo sia ormai inevitabile passare anche al disegno digitale.

Cos’era il primo disegno che hai visto di cui hai ricordo? E il primo che hai fatto? Non è stato un disegno o una singola illustrazione, ma un fumetto dell’Uomo Ragno, della defunta Editoriale Corno, trovato casualmente da un parente. E di conseguenza il primo disegno fu un terrificante arrampicamuri. I supereroi sono stati la prima vera passione da ragazzino, poi abbandonati per leggere tanto altro. Giornaletti zozzoni compresi. 

Hai un piano fisso per lavorare entro una scadenza o ogni volta è una rivoluzione? A causa del lavoro non riesco ad essere pienamente dentro i limiti di scadenza quando assumo un impegno, per cui è sempre una rincorsa, uno strappare ritagli di tempo che a volte non bastano. Se disegnare fosse remunerativo, veramente remunerativo, forse potrei allontanarmi un po’ da piscine e palestre per dedicare maggiori sforzi all’arte. Ma d’altronde se disegno poco la visibilità e le possibilità che le cose cambino diminuiscono. È un cane se si morde la coda. 

Ti piacciono i tuoi vecchi lavori? Ogni quanto vedi un salto di qualità? Fondamentalmente no. Preferisco gli ultimi, perché qualitativamente c’è un abisso. E se scorri le vignette di Delicatessen dalla prima del 2011 all’ultima di qualche settimana fa la cosa è lampante. I miglioramenti sono stati graduali, e ovviamente ancora in divenire, ancora non ho trovato un segno mio. 

Guardi le cose in maniera diversa da quando disegni? Sì. Ma quello che è diverso è lo sguardo interiore. Disegnare è sempre una seduta psicanalitica. Ed è diventato un bisogno essenziale da qualche anno. Il 2011 è lo spartiacque tra un prima e un dopo. Prima disegnavo pochissimo, senza passione alcuna, in maniera meccanica, quando succedeva. Mi ero allontanato anche dalle letture di fumetti, dopo il primo innamoramento di quell’albo Marvel trovato per caso e il tanto peregrinare tra generi di ogni tipo. Poi solo letteratura. E più leggevo meno disegnavo, in una spirale in discesa. Il 2011 è stato un anno terribile, colmo di traumi, e la via di fuga più inaspettata allora fu proprio il disegno. Con il quale ho riversato tutto sui fogli. Alcuni dei quali ho cominciato a pubblicare. Fino ad oggi.