Paky: «salvato solo dal mio disco»

Salvatore è il puntuale manifesto di Paky: in questo disco ci sono tutti i temi e i contenuti che hanno permesso ai singoli finora pubblicati (da Rozzi a Storie Tristi) di essere ascoltati e apprezzati da milioni di persone da sud a nord. La vita di strada, la criminalità, l’assenza e la morte hanno formato Paky per come è oggi, e lui ha raccontato queste esperienze con il suo stile. Aggressivo e violento, ma anche consapevole e responsabile.

Criminalità

«Vengo da dove il crimine prevale» da Mama i’m a criminal

Tutti sanno che Paky vive a Rozzano, quartiere periferico di Milano, dove – come dice lui stesso con un’iperbole, nel brano Mama i’m a criminal – si verificano troppo spesso episodi di micro (e non solo) criminalità. Certamente la zona è abitata sopratutto da persone oneste e civili, ma il rapper sceglie di concentrarsi sugli aspetti violenti della vita nel quartiere, raccontando esperienze legate alla quotidianità di troppe persone. Lui stesso infatti racconta che dagli 8 ai 16 anni andava a trovare suo padre in carcere, “con gli occhi pieni di odio”. Nel brano Vita sbagliata esplicita il concetto che alcune circostanze della vita portano certe persone a compiere reati e a vivere una “vita sbagliata”, per l’ appunto. Lo fa però senza lodare o elogiare queste situazioni borderline, come invece si sente troppo spesso in altre canzoni.

Rozzano – che Paky paragona al Bronx –  come ogni altra zona periferica di una grande città si presenta come un ambiente difficile: dice nella traccia conclusiva dell’album che “nel Bronx non c’è perdono” e “a volte la strada è l’unica occasione che hai davanti”, in Mama i’m a criminal. 

Come si è potuto immaginare leggendo queste righe, Paky rivendica con orgoglio e vanto la sua provenienza, ma non manca di evidenziarne i difetti e i punti critici; nel brano Vivi o muori in collaborazione con Guè, dice: “vengo da dove la ruota gira al contrario / da dove un figlio muore prima di suo padre”. Non c’è esaltazione del crimine in tutto, ma solo una narrazione accurata e sincera di quello che potrebbe essere un qualsiasi quartiere di periferia.

Drammi personali

«Ho vent’anni solamente storie tristi» da Storie tristi

Vincenzo, nome di battesimo di Paky, non racconta solo quello che vede con gli occhi, ma anche quello che ha provato e che tuttora prova. Ci sono infatti tracce più personali, una su tutte la title-track Salvatore. Si tratta di un parlato dal grande impatto emotivo, che rappresenta una origin story del rapper Paky: ascoltandolo si comprende meglio il dolore e la rabbia che esprime nei suo brani.

Proprio la traccia Salvatore ha un ruolo essenziale nell’album: è infatti una cesura tra la prima e la seconda parte. Rispettivamente rappresentano vita e morte, luce e buio, “una in cui sono io / e l’altra in cui non ci sono”.

In altre canzoni, poi, racconta anche la sua vita prima di diventare rapper: nato a Napoli e trasferitosi a Milano a circa 10 anni, ha avuto un’infanzia e adolescenza difficile anche a causa dei rapporti con il padre, che si sono logorati.

Collaborazioni giuste

In questi anni di album con zero featuring se ne sono visti pochi, e anche Salvatore vede la collaborazione con Marracash, Shiva, Gue, Geolier, Luchè e Mahmood. Guarda caso sono tutti di Milano o di Napoli. Anche in ragione della loro provenienza, c’è una buona alchimia con Paky e tutti riescono ad inserirsi bene nel discorso generale portato avanti dal rapper di Rozzano. Continuano a rappare o cantare nel proprio stile, mostrando la loro bravura che si esplica in modi diversi e riuscendo nello stesso tempo a completare i brani.

Parere sul disco

A questo punto dico una cosa che probabilmente potrebbe far arrabbiare qualcuno: secondo me non è un disco perfetto e soprattutto non è il disco dell’anno (anche perché è uscito solo a marzo). Credo infatti che Paky abbia mostrato tutte le sue doti, che fanno di lui uno dei rapper più interessanti della nuova scena. Però sento alcuni brani come filler, ad esempio 100 uomini Auto tedesca: questi infatti andrebbero molto bene come singoli, perché hanno una forza e un impatto rilevante, ma all’interno di un album con determinate tematiche risultano più superficiali rispetto ad altri brani.

Nel complesso però si tratta sicuramente di un ottimo album, che racconta lo spaccato di una realtà che esiste (non solo a Rozzano) e che ha bisogno di essere narrato. Affinchè i figli non muoiano prima dei padri e che non siano costretti a vederli solo dietro una lastra di vetro.