Donne e mondo hip hop: a che punto stiamo? Confronto tra due addette ai lavori

L’otto Marzo porta spesso con sé molti punti interrogativi. Quale contributo, preferibilmente non banale, si potrebbe dare? Qual è il messaggio che si vorrebbe trasmettere? Che cosa potrebbe rappresentare uno spunto di riflessione innovativo? In redazione ci si è confrontanti su quale tipo di contenuto poter far uscire per questa giornata. La pubblicazione di una playlist sembrava forse troppo sbrigativa e — sebbene la motivazione fosse quella di dare risalto alle artiste che hanno plasmato la storia dell’hip hop e che troppo spesso vengono tralasciate nelle narrazioni — si poteva incorrere nel rischio di comunicare l’idea di una sorta di divisione tra “rap” e “rap femminile”.

Entrambi questi temi rappresentano uno spaccato interessante sull’attuale e passata scena (italiana ed internazionale) e certo meritano anche più di un approfondimento se pensiamo a quanto si potrebbero sviscerare. Tuttavia quello che vorrebbe essere il fil-rouge del presente articolo non è una mera esposizione di punti ed opinioni su quel che funziona o non funziona nel rap game, ma la testimonianza diretta di donne facenti parte della scena hip hop ad ampio raggio. Mi piaceva il concetto di poter mettere a confronto la storia di ognuna per poter notare le differenze e le somiglianze. Cercare di capire se le somiglianze di trattamento fossero dettate dagli stessi fattori e quanto invece le differenze potessero essere determinate dal ricoprire un ruolo diverso. In questo senso è stato fondamentale poter confrontare due diverse addette ai lavori.

Le donne a cui ho chiesto di portare una testimonianza sono rispettivamente: Sofi -SAN videomaker bolognese che collabora qui in BUGzine e Anna Olivieri in arte SUGAR rapper veronese.
Quel che mi ha colpito appena finito di ascoltare ciò che ognuna mi ha liberamente espresso è stata effettivamente una somiglianza in cui mi sono peraltro rispecchiata: sentire di doversi impegnare il doppio per potersi affermare.

Il bisogno di affermarsi è fuor di dubbio qualcosa con cui tutti facciamo i conti quando decidiamo di metterci in gioco (che sia nell’ambiente hip hop come in altri) ma quello che di comune traspare da questi racconti è stata la difficoltà in primis di essere prese seriamente in un determinato ruolo oltre poi al “semplice” affermarsi per i risultati del proprio lavoro. Per Anna in particolare questo ha rappresentato innanzitutto riuscire ad essere considerata dagli altri come rapper prima ancora di essere considerata una rapper valida. Per Sofia si è trattato di un iniziale disagio interno scaturito dal doversi inserire in un ambiente prettamente maschile sommato al sentirsi da sola (senza uno staff) e la più piccola anagraficamente. Ha sottolineato per esempio l’esistenza di quella linea sottile che va dall’esser presa come una “ragazza facile” o un “maschiaccio” senza mezze misure o visioni alternative e di come in qualche modo si sia posta in lei l’esigenza di scegliere un modo di porsi per essere sicura di venir presa sul serio.

E sempre a tal proposito Anna mi ha raccontato di un fatto accadutole che l’ha fatta rimanere male in cui per aver supportato degli amici sotto al palco si è sentita additare come “groupie” e che le sia stato fatto notare che se ti mostri come una groupie poi perdi il tuo ruolo di rapper. Ciò che mi ha colpita è stato rilevare come il timore di essere etichettata (o effettivamente essere etichettata) in quanto “ragazza facile” o “groupie” abbia toccato entrambe sebbene ci siano state motivazioni intrinseche ed estrinseche. Una donna è capace o meno nel proprio lavoro in base a quante persone sono passate dal suo letto? A prescindere, ci dovrebbe importare saperlo?

Aldilà di questo punto d’incontro che deve servire per poter cercare di toccare con mano la situazione condivisa circa l’approccio con cui una donna può ritrovarsi a dover fare i conti quando si confronta con un mondo quasi esclusivamente maschile vi sono poi vissuti categoricamente diversi.

Sofia si ritiene fortunata ad aver avuto a che fare con persone educate e rispettose che non l’hanno fatta sentire sminuita per il fatto di essere donna. Il dover dimostrare di più è un qualcosa che lei si portava dentro anche se non lo ha sentito strettamente legato ad un comportamento altrui. Mi ha detto di quanto sia riconoscente ad Arena 051 per averle fatto fare i reportage dei concerti e dell’emozione di essere stata contattata dai DSA Commando per filmare la prima volta di una loro esibizione insieme a Kaos.

Fortunatamente ho sempre incontrato bravissimi ragazzi con cui lavorare con canzoni che mi son sempre piaciute per cui non ho praticamente fatto nulla che non mi piacesse [..] Era forse più un limite mio il fatto che dovessi dimostrare qualcosa in più, io partivo col fatto di sentirmi un po’ inferiore rispetto a tutto l’ambiente

 

Anna invece mi ha raccontato del fatto di essere stata influenzata a tal punto da alcuni commenti che riceveva agli inizi da essersi anche un po’ snaturata ad esempio cercando di ingrossare la voce. Ha sempre sentito come pesante il paragone, fatto magari dopo un live, con altre rapper se questo era per creare una sorta di faida e non una genuina competizione.

Secondo me la cosa peggiore di questo modo di comunicare è che poi interiorizzi, diventi molto più critico ed esigente nei tuoi confronti a volte in modo malsano. Ti poni delle domande che ti avrebbe posto quella determinata gente ma che tu non ti saresti posta. Ti fai dei problemi e rischi di perdere chi sei.

È venuto fuori che a volte alcune battute, pur riconoscendo che non fossero ragionate, non l’abbiano fatta sentire una collega al pari ma solo una con cui provarci. Malgrado alcune situazioni l’abbiano buttata giù sente la responsabilità di andare avanti anche per quelle ragazze che non hanno ancora trovato la forza di reagire e che non riescono a darsi il valore che meritano.

Quando ho chiesto di raccontarmi le loro esperienze ho da subito specificato ad entrambe che ognuna doveva sentirsi libera di esprimersi senza filtri né influenze di sorta. Volevo dar voce a delle testimonianze che fossero assolutamente autentiche lasciando che il corpo di questo articolo si creasse per mezzo delle narrazioni. A seguito di ciò e ricollegandomi alle mie curiosità iniziali, due sono le riflessioni che mi sovvengono. La prima, già anticipata, è come due differenti esperienze possano trovare un punto comune così forte pur trattandosi di persone con ruoli differenti e che nulla sapevano l’una dell’altra. La seconda su come due esperienze unite da un punto in comune dettato dal genere si diversifichino poi in base al ruolo. Mi viene da pensare che ciò potrebbe essere determinato dal fatto che esistano lavori anche nel mondo hip hop più sdoganati per le donne rispetto ad altri. E in questo senso anche la scena americana non è immune da simili dinamiche tanto che molte rapper hanno spesso raccontato di sentirsi considerate in bilico tra l’MC rispettato e l’oggetto.

Tirando un po’ le somme credo che confrontare delle esperienze sia utile per avere una visione generale che non si fossilizzi solo su un racconto spiacevole o su di una storia rosa e fiori. Indubbiamente conoscere delle realtà è ciò che più può servire per riuscire a comprendere. E riuscire a comprendere risulta poi fondamentale per poter analizzare collettivamente quello che si potrebbe fare insieme a vantaggio di tutti.