claver gold questo non è un cane recensione

Claver Gold: i cani sono meglio delle persone

E’ il ritorno del guaglione Claver Gold che in coppia con Gian Flores chiude un nuovo progetto intitolato “Questo non è un cane”. Cinque anni dopo “Requiem”: un tempo interminabile per la discografia odierna, in particolare per quella del rap. Questo attesissimo album è arrivato al momento giusto e la sua lunga gestazione non è scesa a nessun compromesso. Periferia, Amore e Società spirano come una brezza tra le barre di “Questo non è un cane”.

Daycol Orsini, aka Claver Gold, è un rapper di Ascoli Piceno, figura di riferimento del conscious rap: uno stile di scrittura introspettivo e analitico che si assume la responsabilità di veicolare contenuti che spazino molto oltre il racconto della strada. Anche questo disco, come gli altri, è pieno di riferimenti all’arte, alla letteratura e alla musica stessa con lo scopo di accendere una scintilla di interesse nell’ascoltatore.

Periferia

E’ uno dei setting sempre presenti nei suoi racconti attraverso le varie sfaccettature della microcriminalità e dell’omertà. Le atmosfere cupe hanno caratterizzato uno degli approcci con cui Claver ha raccontato la periferia ascolana, da cui proviene. Sia dal beat malinconico che dalle parole, spicca il senso di appartenenza del rapper ad un “istituzione autonoma” che è quella della strada, con regole, codici e dinamiche proprie.
La periferia ascolana è solo uno dei contesti italiani che non offrono opportunità ai ragazzi, se non quegli “espedienti” che non potranno mai dare loro una visione diversa del loro mondo. Non si sta parlando del Bronx – non si sparano a vicenda fuori dalla porta di casa – ma di una realtà che affonda le proprie radici nell’omertà, in quegli sguardi consenzienti, in quelle parole non dette. Tutti sanno e allo stesso tempo non sanno, così che alla fine alcuni meccanismi vengono normalizzati. Un equilibrio precario sempre sul punto di crollare e portarsi tutti con sé.

Questa “Malastrada” è protagonista del singolo omonimo che ha anticipato l’uscita dell’album. Un racconto che attraversa il tempo osservando l’immobilità della periferia ascolana dagli anni ’90 fino ad oggi. Il beat malinconico di Gian Flores trasporta l’ascoltatore in quei quartieri dove i ragazzi sono i protagonisti. Tra muretti, asfalto e cemento la lealtà e l’amicizia sono i denominatori comuni della vita di questi ragazzi che hanno solo loro stessi, gli uni per gli altri. Il legame che li unisce affonda le radici in quei palazzi e in quei luoghi che disprezzano e che amano allo stesso tempo. Fanno una promessa a loro stessi: il male non avrà la meglio su di loro, saranno artefici del loro destino.

“Nati dove il male vince il bene
Ma lottando per uscirne insieme
Ho spinto il pedale al massimo
E sono andato via in un attimo”  – Malastrada 

Il cuore della periferia batte all’unisono con quello dei suoi abitanti che condividono tutto: il pane, gli “impicci” e i sogni. Giovani cani randagi guariscono da soli le proprie ferite, sapendo che ciò che agli altri è dovuto, se lo dovranno prendere stringendo i denti e lottando contro la loro nemica naturale: la fame.
L’arte e l’amicizia sono i motori di un cambiamento interno nei giovani delle periferie, che devono avere l’opportunità di uscirne. Per questo il rap è così importante per le periferie: perché crea comunità e aggregazione; perché offre una valvola di sfogo al dolore e alla rabbia; perché è il linguaggio di chi non molla nonostante tutto.

“L’unica impresa che rimane è forzare ‘sta gabbia
Lì dove nasce un legame, lungo le strade di periferia
Dove chi morde è la fame
Soffiano lame 
Il branco era casa mia”   – Il cuore di un cane feat File Toy & Stephkill

Amore e storytelling

L’amore è importantissimo in tutta la discografia di Claver Gold che lo ha raccontato in tante delle sue sfumature come la passione di due amanti, l’amore di una madre, la morsa di un legame opprimente.
Attraverso lo storytelling le rime incarnano la genuinità di questo sentimento in figure anonime ed evanescenti come quella della Gitana, protagonista di uno dei brani del disco. E’ una ragazza dal fascino irraggiungibile che nasconde un profondo attaccamento verso la propria terra, quella andalusa. Un amore misterioso, più forte delle luci delle giostre, della sensualità della danza, che anela il ricongiungimento con il paese natio. Il secondo personaggio di questo racconto è Claver, colui che le ha donato il suo cuore nella luce artificiale dei luna park itineranti.
Improvvisamente lei scompare. Come è arrivata se ne va, senza dire una parola, lasciando una scia malinconica nel cuore del suo amante. La necessità di spostarsi è più grande di ogni idillio romantico, ma dovunque lei vada lascia un vuoto e il suo innamorato perde tutto, persino il sonno. E disteso sul letto, tra nacchere e fisarmoniche il profumo di lei lo fa sussurrare: “Dimmi tu dove vivi?”.
Nonostante il distacco qualcosa di dolce sopravvive nell’animo di lui ed è così puro che nemmeno il tempo potrà cancellarne il ricordo e le sensazioni. Claver ripercorre il passato tra sassofoni e chitarre che lo appagano e lo affliggono allo stesso tempo, così scrive per esorcizzare il dolore. Le parole sono liberatorie, districano i pensieri annodati, ma rileggerle è così doloroso che lui spera di dimenticare. E lei? Lo avrà dimenticato? Forse sì, ma in fondo in fondo lo scrittore spera di essere ancora nei suoi pensieri e sospira dolcemente, mentre le parole sul foglio disegnano il viso della bella Gitana.

“Tu mi hai lasciato gli occhi lucidi ed un vuoto interno
Adesso sta arrivando il freddo pure qui all’inferno
Se lasciarti è stato come amarti un po’ in eterno
Io resto fermo dove il tempo è solo un diversivo
Quando ti penso ci sto male, se sto male scrivo”  – Fragole e miele

Se si parla di amore, non si può non citare “Boloricordo”: un brano che mescola hip hop e jazz e  diventa terreno fertile per la crescita di un tributo assoluto alla città dei Portici. Tutto il brano viaggia nella memoria del rapper che ricorda gli studi accademici, i centri sociali, il rap, le atmosfere di Bologna.
Tutta la canzone si basa sull’anafora del “Io mi ricordo” che come una pala scava lentamente ed estrae i ricordi dalla terra della memoria. La città riemerge con il suo caldo estivo e il suo freddo invernale; con i suoi abitanti e i suoi luoghi.
La crescita accademica e personale di Claver a Bologna si lega anche al suo percorso artistico, soprattutto perché la città è stata capitale del rap italiano dando i natali a gruppi del calibro dei Sangue Misto. Proprio a Bolo ha trovato un’ispirazione e un riferimento per coltivare il suo stile e il suo flow. All’instore del 17 settembre in Montagnola Claver ha cantato questo pezzo tra gli alberi del parco ricordando il suo legame con Bologna.

“Mi ricordo Bolo
Camminavo solo
O in balotta con voi 
Giù Laphroaig
E tutto il resto lo sa Freud”  – Boloricordo feat Bader Dridi

Società di cani

“L’amore è in pericolo” – Intro

Sempre presente per il sociale, con le sue barre Claver Gold dà voce alla propria visione del mondo.
L’intro del disco è la disillusione del rapper che si accorge di essersi sempre battuto come uomo e come artista contro gli abusi di potere, le ingiustizie e i diritti negati. “L’amore è in pericolo” sono le ultime parole dell’intro che risuonano come un monito, un avvertimento spettrale. Questo amore di cui parla non è quello fiabesco, è un sentimento sociale e globale disinteressato come l’affetto che il cane può dare all’essere umano. Anche per questo motivo l’album prende questo nome e tutte le tracce hanno riferimenti ai cani.
I cani possono avere un significato positivo, come quello detto sopra, oppure essere simbolo di aggressività e fame rabbiosa. “Quelli come noi” è la seconda tappa del viaggio: è un pezzo che racconta un disagio – una fame – personale e generazionale. Un disagio dovuto ai compromessi, agli schiaffi che la vita ha presentato a Claver e tutte le persone che lo hanno circondato. Il suo e il loro desiderio di cambiamento parte dalla una condizione di svantaggio, ricordando che lo scopo non è diventare come le persone che si invidiano, ma ottenere un’equità, un equilibrio sociale.
E se il passato è scritto nelle esperienze, il futuro è mutevole e incomprensibile. Fingere che “Dopo di noi” verrà un mondo diverso, migliore, è un’illusione. La lotta continua e deve continuare perché la democrazia è morta, perché la povertà cresce, perché i giovani e le periferie sono ancora ai margini. Claver dice di vivere come se non gli importasse del mondo, perché visti gli avvenimenti il cinismo non è certo biasimabile. Ma lo dice guardando il mondo stesso e piangendone le sorti, facendoci chiedere se veramente sia così. “Verrà il tempo” di tante cose come la dittatura, la fame, la sete, e la proiezione di questi eventi non è certo incoraggiante, se non altro ci si può godere un po’ di quiete prima delle future tempeste.

“Cosa resterà di ciò che abbiamo fatto?
Scrivo come un pazzo
Rido come un pazzo
Vivo come se non mi importasse proprio un cazzo
Piango quando guardo il mondo fuori dal terrazzo”  –  Dopo di noi