Anna Pini – Illustro chi illustra

Mi accorgo solo ora che per la terza settimana di seguito della rubrica sto intervistando solo persone il quale nome inizia con la A, e mi fa ridere perché anche la settimana prossima l’illustratore inizia con la A. I casi della vita… ma sicuramente quello che cerco nelle persone che intervisto non è la comune lettera ma la passione, lo stile e il tocco al mio gusto personale. Questa settimana sono lieta di presentarvi Anna Pini, che è capacissima di presentarsi da sola, come vedrete presto. Buona lettura!

Mi chiamo Anna, ho trentun’anni, sono cresciuta a Casalmoro in provincia di Mantova, ma vivo a Pesaro da diversi anni. Sono un’illustratrice che scrive o una scrittrice che disegna, chi può dirlo? Mi sono laureata in Scienze della Comunicazione a Verona e ho un diploma specialistico in Grafica delle Immagini (indirizzo Illustrazione) all’ISIA di Urbino. Mi piace il cioccolato fondente, odio la mozzarella e penso che non ci sia niente di più sexy di Dodò dell’Albero Azzurro.

Che musica ascolti mentre disegni? Consigliaci un pezzo. Quando disegno ascolto quasi sempre musica rock e metal. Lo so, tutti si concentrano con la musica ambient o classica, ma io ho fisicamente bisogno di una botta di adrenalina. Se sono sotto scadenza, poi, niente mi rende produttiva come ascoltare Helsinki dei Soilwork, Episode 666 degli In Flames o A Single Part of Two dei Dark Tranquillity. Se il growl vi intimorisce, consiglio caldamente Epic dei Faith No More e qualsiasi cosa dei Pain of Salvation. Poi vabbè, non nego che ci siano anche momenti di Karaoke molto sentiti con Fabrizio De Andrè o gli 883.

Cos’era il primo disegno che hai visto di cui hai ricordo? E il primo che hai fatto? I primi disegni di cui mi ricordo credo fossero quelli di Altan per “Le favole al telefono” di Gianni Rodari. Ho iniziato a scarabocchiare da piccolissima, ma esiste la prova di un disegno in cui si riconosce un omino con un improbabile ciuffo alla Elvis che ho fatto a due anni.

Quanto cambia il tuo lavoro se è su commissione? Come lo sviluppi se è un processo creativo forzato? Paradossalmente trovo che le limitazioni e le pressioni di una commissione riescano a innescare collegamenti e idee che in un progetto personale emergono più lentamente. Quello che cambia maggiormente, almeno per me, è l’incremento della velocità e il fatto di dover magari riadattare l’idea o il progetto in corso d’opera.

Ti piacciono i tuoi vecchi lavori? Ogni quanto vedi un salto di qualità? Diciamo che li guardo con benevolenza. Spesso riscontro una certa ingenuità nel tratto ma una grande freschezza nelle idee. Mi capita periodicamente di setacciare i miei vecchi taccuini alla ricerca di qualcosa che all’epoca non era maturo ma che oggi potrebbe diventarlo. Per quanto riguarda i salti di qualità credo che siano molto graduali e che si debba sempre essere consapevoli che lo stile, come noi, è in continuo divenire.

Quanto è cambiato il tuo sguardo sulle cose da quando lo hai finalizzato alla riproduzione di ciò che vedi? Tantissimo. Per esempio non riesco a guardare una superficie senza scomporla in texture o un’immagine senza chiedermi come è stata realizzata. Una volta che si conoscono certi meccanismi percettivi o compositivi è difficile non ritrovarli/ricercarli ovunque si volga lo sguardo.

Chi ti ispira di più? Altri autori, i tuoi amici, i tuoi amori o chiunque. Mi ispirano molto le parole. Credo che il linguaggio, specialmente quello poetico, per la sua caratteristica di creare immagini astratte sia una grande fucina di ispirazione. Poi vabbè amo alla follia tutta la grafica, l’illustrazione e l’animazione degli anni 60. Sono in fissa col cinema, con tutte le cose buffe e ridicole e, naturalmente, con la musica. Per esempio i video musicali degli anni ’90/2000 trovo che siano una miniera d’oro. Se devo fare dei nomi direi: Sergio Tofano, Andrè Francois, Saul Steinberg, Basho, Martin Parr e Michel Gondry.