ketama armageddon recensione

Ketama è il quinto cavaliere dell’Apocalisse

Non importa che sia uscito ad inizio giugno, l’ultimo album di Ketama126 non è un disco estivo.
Dopo due anni da KETY Reborn, il rapper romano torna con un progetto cupo e molto personale di 17 tracce per riportare l’attenzione sulla Capitale.

Il periodo di pandemia ha partorito decine di dischi, in ognuno dei quali molti rapper hanno sottolineato la frustrazione di convivere con se stessi e i propri demoni, scadendo talvolta nella ripetizione.
Dal canto suo, Ketama è sembrato rimanere in silenzio su determinati temi ma non fermo musicalmente: in questi due anni ha infatti collezionato numerose collaborazioni con nomi importanti della scena italiana, tra cui Guè, Fabri Fibra, Sick Luke, Gianni Bismark e tanti altri.

È arrivata poi la necessità di creare un progetto tutto suo che portasse alla luce le caratteristiche migliori della sua musica senza però snaturarsi.

Nel periodo in cui ho fatto questo disco sono successe un botto di cose, sia nella mia vita che nel resto del mondo. Ho cambiato opinione su molte cose, ma il punto fermo, l’ancora di salvezza, è sempre la musica.
– Ketama su Instagram

Un’attitudine ibrida

A metà tra un rapper e una rockstar, Ketama riesce a coniugare la predisposizione vecchia scuola a suoni contemporanei, mantenendo l’immaginario di eccessi che da anni lo contraddistingue.

Le tracce sono 16 più una bonus track finale, alla produzione troviamo una foltissima schiera di musicisti, alcuni di loro collaboratori assidui, come per esempio Drone126, Nino Brown, Night Skinny, G Ferrari, Il Tre, mentre spiccano nomi nuovi, tra cui Toxicismad, Baby Pantera e Kamyar.

È interessante notare come anche lo stesso Ketama appaia in quasi tutte le produzioni; dice infatti in Immortale: Tagliavo roba, adesso taglio un campione, In sottofondo Nina Simone” come a sottolineare l’importanza che sta avendo la musica nel suo presente, anche da un punto di vista riabilitativo.

È un punto a favore che sia lo stesso Kety a dirigere la sonorità del disco nelle produzioni, che nonostante le dovute differenze delle singole tracce, appare molto coeso e ben distribuito.
Il sound è sempre cupo ma più caldo: le chitarre latine e i campioni dub e raggae accompagnano una batteria che rimane comunque trap.

Le atmosfere sono sognanti e distorte, passano da una Trastevere sporca e buia a una spiaggia afosa: le due parentesi più “leggere” come Tanga e Coca Rosa hanno un gusto dancehall che ha il potere di trasportare lontano, mentre immediatamente successive arrivano Armageddon e Su e Giù che riportano l’attenzione sul Ketama  grounge a cui siamo abituati.

Anche i feat  sono vari. Apre l’intro con gli scratch di Dj Gengis, e tra gli amici di sempre della Lovegang e il padrino Noyz Narcos spuntano 3 collab europee: l’austriaco Raf Camora e i due spagnoli Young Beef e Kaydy Cain.
Senza dubbio la scelta è stata ottima: ha mantenuto le aspettative generali dentro alla comfort zone del grande raccordo anulare, ma ha guardato anche fuori dall’Italia con nomi non scontati che catturano l’attenzione degli affezionati al genere.

Probabilmente il featuring migliore è l’accoppiata vincente Noyz-Night Skinny, che in Animale tirano fuori la lovesong per eccellenza del disco sul sample di Open Up Your Love dei The Whisperers; mentre un po’ più deludente è quello con Franco126, che forse poteva dare di più.

Ci sono senza dubbio tracce meno incisive, ma nel complesso servono a dare respiro, soprattutto dopo canzoni come Ragazzi fuori e Guerra. Il primo uno storytelling semplice dal punto di vista tecnico ma non da quello narrativo, che dipinge immagini nitide di vita vera nei quartieri popolari, trascinandoci in una corsa giù dalle scale dei palazzi tra tossicodipendenza e abusi.
La seconda, quella che si collega meglio al periodo storico attuale, è una denuncia sociale alla maniera di Ketama: dopo la guerra e il covid, la lotta  tra ricchi e poveri si muove su un fondale distopico (ma non troppo) di distruzione e violenza.

Vivere ogni giorno come fosse l’ultimo

Ambienti sonori cupi, la voce trascinata lungo le strofe, l’immaginario escatologico della notte del giudizio… per 47 minuti assistiamo alla messa cupa tra religione e blasfemia di un Ketama cresciuto ma sempre fedele a se stesso.  C’è la sperimentazione frutto della fuga fatta in Spagna e in Africa, ma i testi rimangono a vagabondare dentro la periferia romana.

Armageddon è un viaggio intimo e riflessivo, dove il rapper alterna momenti di dolore ad altri più leggeri e arroganti. Racconta la sua vita con consapevolezza e senza finzione, racconta di sbagli fatti, droghe assunte e sbalzi d’umore, ma anche della musica che lo ha salvato e degli amici che lo accompagnano tra le strade della sua Roma decadente.
A far a collante in tutto questo, c’è la visione personale di una fine del mondo psichedelica che ci invita a vivere ogni giorno come se fosse l’Armageddon, l’ultimo.

La forza di Ketama126 sta nel aver ripreso lo scenario rap del TruceKlan portandolo ad un pubblico che mastica più trap e drill, unendo sotto al palco gli appassionati di entrambi i generi.
Ha usato in maniera furba le sua capacità narrative per rimanere fedele al suo vissuto e alle sue esperienze di vita violente e disturbanti, mescolandole alla regola dell’esagerazione, ma senza mai mentire a se stesso e ai suoi fan. E Armageddon ne è l’ennesima conferma.