Guido Cagiva è senza freni in MITO – Talk

Guido Cagiva, barese classe ’97, è un giovane artista del roster di Asian Fake che il 10 giugno è uscito con MITO, il suo primo album ufficiale.
Dopo essere apparso in HANAMI con Stonato, ha iniziato a farsi conoscere in tutta la penisola con sonorità sperimentali e un flow variegato, fino a diventare uno delle nuove voci del rap italiano. La sua è una musica che parla di verità popolari, con un immaginario ben evocato in cui è semplice immedesimarsi, da cui emerge la voglia di farsi spazio nella scena e prendersi il posto che gli spetta.

Ci siamo fatti raccontare il suo primo album, cosa si prova a collaborare con alcuni pesi massimi del rap italiano e qual è il suo modo di vivere la musica.

Ciao Guido, questo è il tuo primo album dopo l’EP Mezza Vita. Avevi già in testa questo progetto da molto tempo? Cosa ti ha spinto a farlo uscire ora?
Si avevo in testa questo progetto da tanto. È il mio primo vero disco, anche in termini di racconto. Già prima che uscisse il mio primo avevo in testa di iniziare a lavorare a qualcosa di più serio, che raccontasse la vita mia e di tanti come me. È uscito adesso perché mi sono reso conto che c’è bisogno di tanto lavoro per chiudere un disco, e prima di tutto trovare le persone giuste, che capiscono il tuo viaggio e la tua direzione.

Come ti senti dopo i primi feedback, che impressioni stai ricevendo?
Ho ricevuto finora dei bei feedback, però non guardo molto ai social e ai numeri di solito. Preferisco i live e vedere la gente percepire davvero la mia musica. Oltre il fatto che oggi i social e Spotify sono ormai saturi, il live sembra tornato il modo più efficace per farti apprezzare da chi ancora non ti conosce.

Mentre nella scrittura mantieni sempre un filo conduttore, quello della verità della vita popolare, nel sound sperimenti molto. Che rapporto hai con i produttori? Lavori con loro anche nella creazione delle basi?
Ho una grande fiducia e stima di tutti i produttori che hanno lavorato con me al disco. Però si mi piace dire la mia naturalmente e spesso cerco di spiegare a parole il mood o la situazione che vorrei ricreare in un brano.

Dopo il Red Bull Posse, la triade con Alda e Deriansky ha dimostrato di essere molto efficace, si vede che c’è un rapporto di amicizia dietro. Cosa significa per te lavorare con persone di cui ti fidi?
Non conosco da molto entrambi, ma abbiamo avuto modo di approfondire il tutto a livello artistico. Sono due persone con cui mi sono trovato subito a mio agio e ne è uscita una traccia bella dura. In generale non lavoro con tantissima gente ancora, ma per ora c’è un bel team affiatato che basta e avanza.

Il disco ha due soli featuring, molto diversi tra loro ma entrambi forti. Come sono nate le collaborazioni con Inoki e Nerone?
Li ho conosciuti entrambi nell’ultimo anno in situazioni diverse. Verso la chiusura del disco gli ho inviato delle idee e entrambi mi hanno blessato con le strofe che potete sentire. È stato uno dei primi obiettivi che sognavo di raggiungere.

Qual è invece il tuo feat dei sogni?
È una domanda che mi fanno spesso e non so mai bene cosa rispondere. Ci sono tanti artisti con cui collaborerei, molti anche che non c’entrano nulla con il rap.

Ogni traccia è un po’ un mondo a sé stante, ed è difficile trovarne una preferita. Per me forse  ti direi Cantona, qual è la tua?
Neanche io naturalmente ne ho una vera e propria. Però penso che quella che unisce tutte le tracce è Daspo.