Exem: “I graffiti sono belli perché sono anarchia” – Parte 2

—>Questa è la seconda parte dell’articolo. La prima la trovi qui.

NEW AGE

Come definiresti la tua arte in poche semplici parole?
Boh! Direi… aggressiva ma divertente?

Se dovessi spiegare alla new age l’arte dei graffiti, come lo faresti?
Per come la vedo io i graffiti sono belli perché sono anarchia, sono nati senza chiedere il permesso e senza nessuna regola se non uscire e dipingere. C’è posto per tutti e per tutte le idee, in culo a chi è venuto dopo e ha cercato di mettere paletti ed etichette.
La definizione più bella l’ho letta a 16 anni (21 anni fa) e tutt’ora trovo sia una delle più belle; è di Noem dei DSP (crew di Pesaro):

No vandals, no true school, never aritofreaks, nowhere kings, lords of nothing. Just rebel, just me.

LE AVVENTURE

Come hai scelto il tuo nome? Quali sono state le prime crew di cui hai fatto parte? Hai qualche aneddoto da raccontare sulle tue avventure con gli spray?
Il mio nome l’ho scelto perché mi piaceva l’accostamento delle lettere, due ‘E’ separate da una ‘X’, e una ‘M’ finale che non è altro che una ‘E’ rovesciata, mi piaceva il movimento di questa composizione, anche se ho scoperto in seguito che la ‘X’ è una lettera bastarda da evolvere.
La mia crew è la Vk9 e a cavallo del 2000/2010 ci siamo divertiti parecchio insieme a Verona e dintorni, chi c’era può confermarlo. Eravamo molto attivi principalmente in hall of fame, oltre ovvia mente a qualche incursione meno legale, come è giusto che sia. Purtroppo non è rimasto molto a testimonianza di quel periodo, d’altra parte non son rimasti ormai nemmeno molti di noi a dipingere ehehe.
Aneddoti ne avrei un milione, chi fa graffiti lo sa be ne, è un attività che ti porta a contatto con situazioni a volte belle matte, sia dipingendo legalmente che illegalmente. Dai matti del paese alle visite delle forze dell’ordine al degrado in cui si dipinge in certi posti, fino a situazioni di ignoranza generale tipo una murata per un mio compleanno che è finita a girare con le mini moto da cross nel prato di fronte e contest di tiro alle lattine di birra con un fucile ad aria compressa.

Se non ti fossi dedicato ai graffiti, cosa avresti fatto nella tua vita?
Il pirla, che è la roba che mi riesce meglio. Prendersi troppo sul serio è la malattia peggiore di sti tempi.

SKILLS

Quali sono a tuo parere le tue abilità più evidenti e di cui vai più fiero? Cosa ti ha permesso, più di ogni altra cosa, di raggiungere il livello di skills che hai oggi?
Come si può intuire dalle risposte precedenti non sono uno che si prende troppo sul serio, non credo di avere particolari abilità, ho disegnato un tot negli anni e tutt’ora mi piace farlo, e divertirmi è sempre lo scopo principale.
Poi se parliamo di dipingere in senso ampio penso che la cosa più importante sia osservare molto chi lavora come ti piace, e riportarlo nelle tue cose senza però copiarlo. Poi cercare di avere più possibile costanza, che indubbiamente col tempo ripaga in abilità che si acquisiscono.

I TATUAGGI

Da che cosa è nata questa voglia di lavorare nel mondo dei tatuaggi?
I tattoo sono una mia grande passione fin da ragazzino. A metà anni 90 la scena sicuramente non era come ora, c’era magari meno cultura legata agli stili e meno artisti tra cui scegliere (perlomeno qua a Verona) però chi si tatuava un tot erano per la maggioranza i veri appassionati: motociclisti, punk rocker, b-boy e, insomma, tutti i disadattati che piacevano a me. Mi sembrava un ambiente ancora molto underground e abbastanza puro. Inizialmente avevo una specie di reverenza verso questo mondo: ho iniziato a tatuarmi appena ho potuto, verso i 18/19 anni, e i tatuatori li vedevo quasi come degli eletti, un ruolo a cui era difficile accedere; l’idea di mettere un disegno per sempre sulla pelle di qualcuno mi sembrava una responsabilità altissima.
All’inizio ho approcciato a questo mondo solamente da cliente, nonostante diversi amici nel tempo mi spingessero a prendere in mano le macchinette. Passano gli anni e pian piano ho visto questa idea di tattoo che avevo in testa che veniva demolita giorno dopo giorno da hipster, estetiste, ragazzini improvvisati di turno e in generale da gente senza una vera passione e senza cultura; mi son detto, ok, se lo fanno loro io non sto a guardare. Sono stato abbastanza fortunato da essere entrato in questo mondo guidato da altri tatuatori. Ho un percorso di apprendistato quasi tradizionale, che mi ha dato le basi tecniche e culturali per poter iniziare col piede giusto; devo sicuramente ringraziare chi negli anni iniziali ha deciso di aiutarmi.
Attualmente lavoro presso @the_crow_tattoo_studio, a Valeggio sul Mincio, in provincia di Verona.

L’APPROCCIO

Che cosa ti ha spinto ad approcciare questa cultura?
Il primo approccio è stato sicuramente tramite la musica e i graffiti. La gente che frequentava gli ambienti che mi piacevano era spesso tatuata, a volte anche pesantemente, e per me era una figata incredibile. Mi sembrava (e per l’epoca lo era) un segno di ribellione assoluta. Dai tattoo non si torna indietro, una volta fatti ti sei marchiato. Ora che si tatuano tutti, ma proprio tutti, questa cosa ha perso un sacco di valore. A quei tempi le persone pesantemente tatuate le vedevi veramente di rado e non erano sicuramente gli hipster o i trapper che si vedono oggi: erano dei disadattati che non avevano paura di farlo vedere. Qui si potrebbe aprire un capitolo infinito sull’evoluzione dei tattoo, su cosa ha senso e cosa no; ormai ci sono talmente tante visioni che a parer mio la cosa migliore è andare avanti cercando di metterci la massima passione possibile, sperando che questa venga recepita dalla clientela, che così veda la differenza tra chi fa questo mestiere con passione e chi invece fa solo il mercenario. Sarebbe molto bello che anche i clienti si informassero di più, sia sugli stili che chiedendosi cos’è che fa funzionare un tattoo negli anni (che lo scopo finale alla fine è questo) e smettesse di chiedere cose che sono compromessi con grafiche e disegni che la pelle non può supportare negli anni.

Che cosa preferisci tatuare solitamente?
A me piace tatuare in generale, mi rende felice avere la macchinetta in mano e cercare di creare un lavoro pulito, con bell’impatto, e che resti il più possibile leggibile nel tempo, questo aldià del gusto mio personale e di quello dei clienti.
A livello soggettivo mi piace molto quello che sta tra il tradizionale californiano e il giapponese, con contaminazioni di cose più illustrate tipo le vecchie grafiche da skate o i fumetti. Ci tengo a precisare questo perché mi è capitato più volte che conoscenti mi mostrassero tatuaggi semplicissimi appena fatti da altri tatuatori dicendomi “sarei venuto da te, ma so che te fai solo mostri colorati”. Ovviamente non è così, per me più di tutto conta fare un buon tattoo.

LA PANDEMIA

In che modo questa pandemia ha influenzato la tua arte e come pensi evolverà nel prossimo futuro la percezione della società a riguardo della cultura dei graffiti?
La pandemia direi che mi ha influenzato un po’ solo durante i vari lockdown. Ho avuto più tempo libero e ho lavorato a cose mie senza preoccuparmi delle scadenze e committenze varie, che è uno dei limiti che ho da quando lavoro con la mia «arte».
Per il futuro dei graffiti non saprei dire; la cosa che noto sicuramente già ora è che abbia perso un po’ impatto sulla gente comune. Era una delle cose che a me piaceva di più, che sia stupire quello curioso o infastidire quello bigotto. Una volta sentivo molto più fermento nella gente di strada, ora sembrano essersi un po’ abituati, soprattutto se parliamo di writing in senso stretto.
Forse diventerà una cosa che vivranno solo i writers per se stessi, chissà.
Sicuro mi annoia a morte quella derivazione street art che va incontro per forza al gusto delle masse. Quella che vuole piacere a tutti ma alla fine non ha quasi mai sostanza. Mi annoiano i writer che non si spostano mai dal solito concetto di graffito, sarà anche true ma cheppalle.

É stato un piacere intervistarti Exem, ti ringrazio per il tempo che mi hai dedicato. Continua così che vai una bomba!