zillakami dogboy recensione review

Dogboy di Zillakami è il ponte tra i Nirvana e Lil Peep – Recensione

Dopo anni di annunci e rimandi, Zillakami, uno dei componenti dei City Morgue, ha finalmente rilasciato il suo primo progetto da solista, un mixtape dal titolo Dogboy, allontanandosi in parte dai suoni che ha messo su traccia con il suo socio SosMula.

Il titolo è già un programma di cosa troveremo dentro l’album: dogboy infatti è un appellativo che viene riservato a persone poco avvezze alla pulizia e che tendono a esagerare con alcol e droghe varie, da qui il concept dell’album è facile da intuire: marciume e depressione, abuso di stupefacenti e stati di alterazione mentale.
Un po’ come ha fatto Ghostemane (e i City Morgue si potrebbero accostare a lui) in questo album veniamo calati in un mare di malattie mentali, pensieri estremi ma il tutto è condito da un’attitudine che più si avvicina al gangsta rap che al metal.

Dogboy è un disco dalla doppia anima che passa con leggerezza da brani spinti, con chitarre tiratissime e Zillakami che urla nel microfono come se stesse per vomitare polmoni e viscere sul microfono, a brani molto più introspettivi e melodici nei quali si nota, evidentemente, la scuola dell’emo trap resa famosa dall’ormai compianto Lil Peep.
Come se l’album stesso fosse bipolare si passa da temi quali la solitudine, il fallimento e l’oppressione a brani splatter dove si parla di violenza, spaccio e gang e proprio come nelle più classiche canzoni grunge si passa da parti più potenti e urlate a pezzi più cantati e melodici, come se un brano fosse stato preso e stirato lungo tutta la lunghezza dell’album.

Il lavoro sulle produzioni è uno dei più ricercati degli ultimi anni, i riferimenti al grunge e in particolar modo ai Nirvana si sprecano (come ha detto lo stesso Zillakami al magazine Revolver “Io sono sempre stato una sorta di persona Grunge, ecco io amo gli Alice in Chains e i Nirvana”), dai pezzi più spinti con influenze più hardcore punk fino alle ballad più lente, i suoni sono sempre distorti ma poco elaborati, la chitarra la fa sempre da padrone, la batteria spesso sostituita da bassi al limite del noise si fondono alla perfezione con il timbro graffiato di Zillakami.

Tutto l’album sembra impregnato dell’ambientazione della east coast, freddo, umido e spesso nuvoloso, DogBoy è un disco fangoso che ci cala nella melma degli stati depressivi dell’artista, un disco molto più vicino al punk che al rap ma che senza volerlo ingabbiare in inutili categorie musicali è finalmente qualcosa di veramente diverso nel panorama rap americano e internazionale, un disco che per quanto al primo ascolto risulti rude è estremamente curato con influenze musicali e culturali ricercate e tanti omaggi alla band di Kurt Cobain.

E proprio da uno di questi riferimenti parliamo dei feat del disco: il primo è nel brano Bleach, dove troviamo Denzel Curry, rapper della stessa costa di Zilla con un’attitudine al rap molto vicina alla sua e che, infatti, si sposa alla perfezione con il resto del progetto, il titolo stesso, come abbiamo detto, potrebbe essere un’allusione al primo album dei Nirvana, oppure al manga omonimo di Tite Kubo (visto anche il riferimento a Cowboy Bebop in Space Cowboy); la seconda collaborazione è quella con Lil Uzi Vert, che, per quanto la sua strofa non sia niente di speciale e solo egotrip, musicalmente si trova a suo agio in mezzo a temi quali il malessere mentale e l’apatia.

Anche per quanto riguarda i feat Zillakami prende una strada diversa dal mainstream rap americano, riducendo al minimo il numero di ospiti e selezionandoli con cura per mettere in piedi un progetto molto personale e che mette alla berlina molti aspetti privati dell’artista e dei demoni che affollano la sua testa.
Menzione d’onore finale per il brano dedgrl, uno splendido esempio di storytelling e di scrittura raffinata, per quanto il tema sia pesante come quello del suicidio viene trattato con una delicatezza che non ci si aspetterebbe da un artista che comincia il suo disco con la violenza di Chewing Gum!.

Fatevi un favore e date una possibilità di ascolto a questo disco, ma preparatevi a un pugno allo stomaco a livello sonoro e di scrittura.