talco maskerade intervista

Talco Maskerade: cambiare faccia per trovare nuovi stimoli – Talk

Come avete ideato il progetto Talco Maskerade? Quali sono le differenze e le similitudini tra questo percorso e quello, diciamo “normale”, dei Talco?
È tutto nato casualmente. Venivamo da 5-6 anni di frenesia totale che ci aveva portato ad uno stress notevole. So che sembra ridicolo sentir parlare di stress da parte di chi vive di qualcosa che ama, ma a volte il dedicare con estrema esclusività l’intera vita ad una passione, trasforma anche le cose più piacevoli in negatività, e in realtà la vita in quei momenti risulta realizzata ma allo stesso tempo piegata a ritmi che non ti fanno godere quello che fai.
Ci sono stati attimi in cui questa frenesia mi causava uno stato d’ansia un po’ fastidiosa con cui convivere. Alla fine del tour dei 15 anni, a gennaio del 2020, mi sono chiesto per la prima volta nella mia vita se ne avessi ancora.
Dopo la registrazione di Videogame – il disco elettrico che stiamo tentando di piazzare quando una parvenza di normalità permetterà nuovamente una programmazione efficace – tempo due settimane, ci siamo trovati in lockdown. Paradossale, ma un momento così negativo per me è stato frutto di relax, riflessioni e ho trovato un sacco di motivazioni, per tentare di rendere il più creativo possibile tutto quello che avevo lasciato da parte, per mancanza di tempo nei tour passati.
Volevo provare a dare un seguito più teatrale al disco Silent Town, senza sapere da dove partire, ma con grande voglia di imparare, e ho cominciato a scrivere una sceneggiatura, assieme a 6-7 canzoni acustiche. In precedenza, l’idea mi balenava già nella testa, ma non avevo avuto il coraggio di provarci, perché anni di stress mi avevano fatto vacillare anche in fatto di autostima. Finalmente avevo il tempo per rimettermi in sesto e per intraprendere un’avventura allettante, pur in uno scenario esterno completamente statico.
In occasione delle prime timide aperture per lo spettacolo, ci sono state proposte alcune date in acustico. Con entusiasmo ho proposto l’idea di inserire le canzoni che avevo scritto in un progetto parallelo, in stile Talco, ma più acustico e cantautoriale….di lì Talco Maskerade e il disco Locktown, registrato tutto con le nostre forze in pieno spirito diy. Avevo solo una richiesta da fare ai Talco e alla crew: ci tenevo che non venisse considerato come un piano b, una toppa a cui non dedicare troppe energie, e i miei compagni di viaggio hanno contribuito a rendere il tutto magico.
Talco Maskerade è un progetto acustico, cantautoriale, come detto, ma sempre in pieno spirito Talco: volevamo dare l’idea che – anche se costretti dalle circostanze a un concerto con posti a sedere – la gente potesse alternare momenti di ascolto a momenti in cui crescesse il desiderio di muoversi. Dovevamo suonare in ogni caso a la Talco, insomma, ma godendoci anche dei momenti più intimi.

Avete scritto brani nuovi o rivisitato pezzi dei Talco, oppure entrambe le cose? Come avete affrontato la preparazione dello spettacolo dal vivo?
Per quanto la nostra volontà sia stata quella di unire canzoni riadattate dei Talco ad inediti in un concept album, credo che su Locktown si noti che le canzoni nuove sono state scritte appositamente per un arrangiamento acustico. La commistione ci entusiasmava così l’abbiamo riproposta anche dal vivo. Devo dire che temevo all’inizio un certo disorientamento alla vista di posti a sedere, con noi stessi seduti. Ma mi sono sorpreso: da subito ci siamo trovati a nostro agio e ci siamo divertiti ad interagire con il pubblico che sembrava altrettanto divertito. È stato qualcosa di più teatrale forse, ed era quello di cui avevamo bisogno in questo momento.

Avete imparato qualcosa di più su voi stessi come musicisti in questo anno e mezzo?

Maskerade ci ha insegnato moltissimo, sia come musicisti che come persone. Abbiamo capito che la tranquillità di una vita che non rincorra né l’estremo della frenesia, né quello della staticità, ci dà l’opportunità di godere di tutto quello che abbiamo fatto, e che dobbiamo ancora fare. Abbiamo affrontato la pandemia scrivendo canzoni, registrando e mixando da soli con le nostre forze dei dischi, abbiamo capito che per quanto il concerto sia un momento importantissimo del nostro progetto, ce ne sono altri altrettanto entusiasmanti. Personalmente, avere avuto l’opportunità di scrivere canzoni in un genere differente dal punk-rock, ha un po’ smussato dei limiti che avevo pigramente accumulato, per paura di fare qualcosa che non piacesse agli altri. Avevo bisogno di sentirmi libero da questi paletti e ho scoperto un mondo da cui attingere per migliorarmi. Quando sei chiuso in un genere, inizi a pensare “si tanto ormai scrivo così da anni etc etc.” E finisci per diventare un fossile, ormai senza più vitalità. Credo che la divisione settaria tra generi musicali della musica indipendente sia la cosa più deleteria per il bisogno di imparare dell’individuo. Maskerade mi ha insegnato a sentirmi minuscolo di fronte a quello che devo ancora imparare dalla musica.

Capita spesso di vedervi fare grandi tour in Europa e meno date in Italia, c’è una mentalità meno aperta rispetto al resto del continente? Se si, perché?

Io sono convinto che in Italia ci sia una mentalità apertissima da parte della gente, ma chiusa come una cassaforte da parte degli addetti ai lavori. Come band siamo nati in un periodo in cui il punk italiano si stava decomponendo, anche e soprattutto a causa delle proprie scelte e della propria chiusura alle realtà emergenti. Si pensa spesso che le scene indipendenti siano un’oasi di pace nell’Italietta dei raccomandati e del clientelismo. Niente di più erroneo e retorico a mio parere. Il punk è morto anche a causa di questo microcosmo per nulla differente rispetto alla realtà quotidiana che conosciamo. Ci sono delle eccezioni? Certamente, ma anche l’Italia ha avuto i suoi Peppino Impastato. La minoranza è certo una luce su cui riflettersi per valorizzare il lato positivo del nostro paese, ma il gregge, essendo una moltitudine, lo soverchia, è inutile affermare il contrario secondo me. Il punk italiano agli inizi con noi si è dimostrato molto gentile, ma presuntuoso, offensivo, e forse qualcuno ora se ne sta pentendo solo perché siamo arrivati ad un percorso che ci ha dato molte soddisfazioni con le nostre forze, proprio perché abbiamo avuto un’attitudine che ci impediva di dare troppo peso a falsi pettegolezzi meschini da vecchi da cantiere. La maggior parte dei promoter e dei Booker in Italia ti fa suonare con bands americane solo se gli lecchi il culo, e non stiamo parlando di Nofx o Lagwagon, ma di gruppi che solo perché sono americani hanno la corsia preferenziale. E poi magari, miracolo….la band emergente italiana porta più gente e gli americani li devo pagare il quadruplo ma ho fatto un buco con gli ingressi….per questi motivi, appena arrivata nel 2004-2005 l’opportunità di promuoverci all’estero organizzandoci tour, l’abbiamo presa al volo, di lì la cosa si è fatta più grande, abbiamo cominciato a pensare che potesse essere non solo una passione, ma anche un lavoro, ed eccoci qua, grati a tutto quello che ci è accaduto.

Il 3 Ottobre sarete a Bologna al Link In Park. Cosa vorreste che accadesse perchè questo concerto sia una serata magica e indimenticabile sia per voi che per il pubblico?
Per me suonare è sempre una serata magica. A volte chi sale su un palco si sente importante e alcuni comportamenti negativi o deprecabili sono la testimonianza di un ego gonfiato per nulla. Preferisco sentirmi fortunato e grato a chi mi permette di suonare da 16 anni. E cerco sempre di non deludere chi conta su di me. Forse è per quello che sono ansioso, ma ne sono fiero.

Quale frase cantata in questi mesi di tour con Talco Maskerade più rappresenta il modo in cui vi sentite in questo momento storico della band?

Sicuramente il ritornello di Freak: “Condannato a sfiorar per vocazion dubbie anormalità / Ballo in una vision che chiama in voi riso e deformità / Ma una fiacca agonia poi vi riporta qui / A sposar la vita mia fra le magie di un freak”. È stata scritta durante la pandemia, quando istituzioni e gente comune sputavano odio e disprezzo nei confronti della categoria dello spettacolo (anche se detesto il termine categoria, sembra un cassetto di un armadio). Molto spesso la gente non vede al di là del proprio naso, credendo che gli artisti siano solo dei giullari mai cresciuti senza voglia di lavorare, ma non serve spiegare loro i sacrifici fatti per godere di questa vita, è tutto solo frutto di un’invidia data dal fatto che qualcun altro possa gioire tutta la vita per quello che fa e che la mente possa lavorare tanto quanto due braccia. 

Talco Maskerade approderà anche in studio? Che progetti ci sono per il futuro della band?

Dopo Locktown, torneranno i Talco con il disco nuovo Videogame e soprattutto con un paio di sorprese che ne anticiperanno l’uscita. Ci siamo quasi.

Raccontateci un aneddoto divertente o strano di questi mesi di tour.
All’ultimo concerto in Spagna è entrata la responsabile del backstage dicendoci che le facevamo pena, e non abbiamo capito se era perché eravamo fradici o perché in after-show c’era un cantante trap e volevamo fuggire.