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UGLY di Slowthai, ovvero un’esortazione ad amare sé stessi e le proprie contraddizioni

Come suggerisce il titolo dell’album, acronimo di U Gotta Love Yourself, il nuovo progetto di Slowthai è una vera e propria dichiarazione di intenti orientata a suggerire all’ascoltatore la necessità di amare sé stessi, perché nessuno si senta solo nelle proprie insicurezze.

Non serviva certo un articolo per sviscerare l’ecletticità di Slowthai, un rapper che già dai suoi esordi spaziava tra grime e attitudine punk e che ci aveva regalato, come primo album ufficiale, una perla come Nothing Great About Britain, un progetto crudo, irriverente e fortemente critico a livello sociale, in quanto uscito proprio a cavallo del referendum per la Brexit.

Dopo Tyron, un misto tra grime e tracce rap conscious, la sua nuova fatica, UGLY, non somiglia a nulla dei suoi album precedenti: se potevamo in precedenza definire Slowthai come rapper grime con sensibilità punk, le influenze presenti in questo progetto vanno dalla musica elettronica al rock alternativo fino al punk ed al post punk, passando ovviamente per il rap e la grime, ma non limitandosi per nulla a queste ultime.

Lo testimonia, oltretutto, il fatto che l’album sia stato interamente prodotto da Kae Tempest dei Fontaines D.C., i quali hanno fatto da live band per tutta la durata del progetto, con l’intervento di Sega Bodega in Feel Good, traccia che sembra avere la funzione di esorcizzare i demoni che Tyron ha sputato fuori dalla sua bocca fino a quel momento. In effetti, sembra proprio essere questo il punto dell’album, che tocca una miriade di contenuti compresi l’essere appena diventato padre e avere intrapreso (senza successo, a quanto dice lo stesso rapper in un articolo di Complex) un percorso di terapia. Da questo punto di vista, è già lo stesso titolo dell’album, a darci un’idea di cosa andremo ad ascoltare: Ugly è l’acronimo di You Gotta Love Yourself. Si tratta di una dichiarazione di intenti da parte sua, orientata a suggerire, appunto, all’ascoltatore la necessità di volersi bene e fare in modo che le altre persone non siano sole nelle loro insicurezze, che in quanto tali hanno tutti e riguardo a cui, dunque, conviene adattarsi e, anzi, imparare ad accettarle così come sono.

Le tracce una per una

Come detto, l’album tocca come temi principali l’esperienza da padre di Ty, la depressione e in generale la salute mentale, le dipendenze, gli eccessi e, come suggerisce il titolo stesso, il sentirsi inadeguato con sé stesso, e il bisogno di superare questa sensazione.

In effetti, proprio a corollario di questa frase, il progetto inizia con Yum, traccia dal sound a tratti quasi cacofonico che sembra quasi, a detta dello stesso autore, funzionale a simulare l’effetto di un attacco di panico in un posto affollato e rumoroso, come una discoteca. Ed è un inizio in medias res, in quanto si tratta già di un dialogo tra lui e il suo terapista dove si toccano temi quali le varie dipendenze dell’artista e come far coincidere una vita che, per forza di cose, lo porta ad interfacciarsi con queste realtà con il percorso di maturazione e crescita a cui la parentela ti mette davanti.

La seconda traccia dell’album, nonché singolo anticipatorio dell’album, Selfish, è esattamente quello che ci si aspetterebbe dal titolo: se, come enuncia lo stesso acronimo Ugly, il messaggio principale è amare sé stessi, questo non sarebbe possibile senza essere egoisti perché, alla fine, anche gli altri stanno, appunto, pensando a sé stessi.

Il progetto, dopodiché, prosegue con Sooner, che suona come una sorta di percorso all’interno della storia personale del rapper, diretto in particolare a capire quali siano state le condizioni che l’hanno portato a vivere quanto ci sta raccontando. Nel farlo, Ty è determinato a comprendere cosa, in realtà, lo renda felice, e ci introduce a Feel Good, traccia realizzata in collaborazione con Sega Bodega e Shygirl, le uniche collaborazioni ufficiali all’interno del progetto assieme, ovviamente, ai Fontaines D.C. (in realtà, anche James Blake ha avuto una parte importante all’interno del progetto, essendo presente a buona parte delle sessioni di produzione, ma non entrando mai nel progetto se non di riflesso elargendo consigli).

Essa, in sostanza, funziona come mantra per i momenti bui, per aiutare l’artista e chi si sente come lui a superarli e tornare alla propria vita. Vita, quest’ultima, di cui Slowthai continua a raccontare i trascorsi. Never Again, la traccia successiva, infatti, è concepita come uno storytelling ma è tratto da una storia vera capitata allo stesso rapper l’anno scorso, quando la sua ex storica è stata uccisa dal suo compagno. La canzone, vera e propria perla del disco vista la sua caratura emotiva, è concepita come un modo per esprimere il senso di colpa che prova per non averla potuta salvare, e per riaffermare le proprie priorità nella vita, ovvero focalizzarsi sulle cose importanti quali, appunto, le persone che ama ed ha amato.

La canzone corrispondente a metà disco, Fuck It Puppet, si ricollega alla prima nel riferirsi, di nuovo, alla propria esperienza psicologica. Come suggerisce il titolo, infatti, essa si riferisce a quel meccanismo psicologico, quella voce nella testa che, nel suo caso ma non solo, dà il via agli eccessi di cui si parla nel corso di tutto il disco, sintetizzato dallo stesso artista con “è come quando esci con gli amici e ti dicono <<fatti un drink>> e tu dici <<nah>>, ma poi hai questa piccola massa di persone in cui tutti hanno un drink e ti dicono <<dai bro, solo uno>>, e tu ne bevi uno, poi un altro, finché gli dici <<se continuo mi ubriaco>>, ma gli altri ti dicono <<no, stai bene, dai bro, solo un altro>>, e subito dopo sei distrutto”. Quasi in contrapposizione con quest’ultima, la prima canzone della seconda parte del disco, Happy, viene concepita come un vero e proprio anthem, laddove viene ribadita di nuovo come essere felici nella vita sia l’obiettivo principale da perseguire. In sostanza, tutto il disco, come la stessa vita di Tyron e di chi si identifica con lui, è fatto di contraddizioni: lo esemplifica la traccia successiva, ovvero la title track, nella quale l’artista, scagliandosi contro le idee sbagliate condivise dalla società, quali gli ideali di bellezza, le disuguaglianze sociali, il patriarcato e la guerra. Nel farlo, Ty ribadisce, ancora una volta, che “U Gotta Love Yourself” e “You can’t be part of anything else”, scandendo l’importanza di scappare a quanto la società ci dipinge come normale e desiderabile ma in realtà non lo è. Questo concetto, oltretutto, verrà anche ripreso in Tourniquet, nella quale viene espressa l’importanza di recidere il contatto che ci lega a teorie ed ideali sbagliati e ripartire da capo, per andare avanti.

Siamo arrivati, dunque, al punto clou dell’album, che prosegue con Falling, dove il rapper cerca di esprimere quella sensazione di chiusura in sé stesso e di senso di vuoto e mancanza di controllo sulla propria vita che lo ha spinto a cercare di esorcizzarla tramite questo album. Sensazione, quest’ultima, che viene ribadita in Wotz Funny, in origine concepita come title track, in cui Slowthai si scaglia contro chi, non avendo condiviso le stesse sue esperienze e la sua stessa condizione socio-economica, giudica o peggio, irride, chi vive situazioni di disagio.

La conclusione del viaggio, infine, rivela lo scopo del percorso di crescita e maturazione iniziato con l’album, il quale, in realtà, non esiste in quanto ci sarà sempre, per quanto possiamo impegnarci a cercare di capire tutto, un 25% mancante. In questo senso, l’illusione dell’esistenza di quello che Ty chiama 25% Club, nel quale trovare il pezzo mancante, è per lui di fatto un mito che ci conduce ad una inevitabile delusione. Per questo, quindi, vale la pena non pensarci, ma pensare solo ad essere felici e in armonia con sé stessi e gli altri, imparando a diffidare dei modelli che ci impone la società, che in assenza dei giusti mezzi per interpretarli ci conducono inevitabilmente verso l’autodistruzione, in virtù di una gabbia mentale che ce li fa percepire come non criticabili in quanto pre- esistenti. Quello si auspica Slowthai, dunque, è di creare nei suoi ascoltatori i presupposti necessari per far sì che anche loro, come lui, sviluppino il senso critico necessario ad evitargli di cadere in questa trappola, la stessa in cui lui stesso è caduto ma alla quale è a sua volta sopravvissuto di modo da potercela raccontare.