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Tredici Pietro e Lil Busso: chi ha ucciso il romanticismo?

LoveSick è il lavoro condiviso di due artisti che si sono fatti conoscere prima singolarmente e si sono creati un ruolo nella scena rap e underground italiana: Tredici Pietro, che ha alle spalle progetti discografici di successo e un’estate di live attraverso i festival delle principali città italiane, e Lil Busso, un ormai non più nuovo volto della trap italiana, che ha sicuramente contribuito alla sua innovazione più recente. Non a caso, questo disco è innovativo, eppure di forte impatto.

Con la redazione di Futura 1993 abbiamo partecipato al release party, ascoltandolo per intero alla mezzanotte dell’uscita e, dopo qualche mese, abbiamo deciso di fare due chiacchiere con i protagonisti di questo lavoro, per scoprirne la genesi e il percorso.

Fin dal primo ascolto, le tracce colpiscono per il sound esplosivo che viene spesso accostato a liriche più riflessive. Si fa un viaggio attraverso le varie sfumature dell’amore, dalla delusione al sesso, riuscendo a dare un forte senso di introspezione anche nelle barre più dirette. Non è un disco conscious o politicizzato: è un percorso attraverso la vita reale, fatta di amarezza ma anche superficialità, in cui si riesce a percepire il vissuto di chi scrive e canta.

Ciao ragazzi! Buone feste passate ovviamente, come vi state vivendo questo periodo tra festeggiamenti e adrenalina post uscita dell’EP?
Tredici Pietro: “Post disco vissuto molto bene. Mi sento molto in corsa, non in post né in pre”.

Una delle cose che apprezzo di più del vostro lavoro insieme è il fatto che mi sembra essere
effettivamente un sodalizio non solo musicale, ma umano e avete avuto l’abilità di far percepire questo vostro legame affettivo attraverso la musica: vi siete avvicinati prima umanamente e poi musicalmente o viceversa?
P: “Ci siamo avvicinati prima umanamente, grazie alla musica, ma non abbiamo collaborato a canzoni prima di considerarci realmente amici. Ci siamo veramente visti tutti i giorni per 5/6 anni. Però prima di fare i pezzi, siamo diventati amici”.
Lil Busso: “Molto prima, abbiamo iniziato a fare musica praticamente un anno e mezzo dopo esserci
conosciuti”.

É difficile lavorare in studio con un amico?
P: “Per noi è stato molto facile perché abbiamo il buon senso di metterci in discussione che è il grande gap che ci può essere nel lavoro in generale, e ancora di più quando si lavora tra amici. Invece nel nostro caso, saper fare un passo indietro e far fare un passo avanti all’altro è la nostra forza. Entrambi abbiamo un lato forte e uno debole e ci compensiamo senza prevaricarci – per adesso”.
B: “Per ora niente spari”.

Quanta Bologna c’è nelle vostre esperienze artistiche e quanta in LoveSick in particolare?
P: “Io sono super bolognese, super proud e quindi molto legato al rap politicizzato e purista – che poi piano piano si è perso (devo dire per fortuna, perché alcuni elementi di quell’essere così radicale sono contento di averli persi). Per Lovesick non c’è bolognesità dal lato mio. Necessariamente è un disco che non ha luogo: è stato fatto in cento giorni in uno studio senza vedere la luce del sole. Eravamo a Milano, ma non appartiene a Milano come luogo, piuttosto allo studio dove lo abbiamo creato”.
B: “Per me musicalmente è tutto più legato all’America e alla trap americana, non sono figlio della stessa
scuola di Pietro e questo è il mio tratto distintivo, diciamo così. Infatti, la combinazione di queste due cose è la nostra forza”.

Parliamo del disco: qual è il concetto dietro ad un lavoro come Lovesick? Qual è il collante che ha unito le esperienze personali che entrambi avete riversato nei brani?
P: “Non te lo so spiegare. È un insieme di valori condivisi, voglia di vivere simile. Forse è anche sbagliato
spiegarselo: lo facciamo perché ce lo sentiamo addosso e basta”.
B: “Tra noi è sempre stato tutto molto naturale, non ci siamo mai fatti troppe domande”.

Anche voi, come molti nel mondo urban/hip-hop, avete usato slur per appellarvi alle donne in alcuni brani – da artisti, secondo voi perché il rap soprattutto è ancora ancorato a questo linguaggio?
P: “Secondo me, il rap e l’hip-hop sono figli del tempo e parlano come il tempo. La musica è più
conseguenza, che causa”.

Com’è nato il featuring con Diss Gacha?
P: “Io mi sono trovato in studio con questo producer che me lo voleva far sentire a tutti i costi. Quando poi ho deciso di ascoltarlo la prima volta è stato incredibile. Ho seguito il suo percorso negli ultimi mesi e gli abbiamo chiesto di fare un pezzo. Io ho collaborato con Madame, prima che fosse Madame, con Psicologi e BNKR44 stessa cosa. Quindi, sento che nei miei dischi ci vuole sempre un featuring con un artista fortissimo: ho la fissa di trovare i nuovi G.O.A.T. Sono anche molto legato a lui perché credo che se non ci fossi stato io nella scena prima, lui non ci sarebbe stato dopo: io sono stato in qualche modo uno dei primi nerd”.

Partendo da “Sara e Sabrina”, si parla di sesso senza troppi taboo nel vostro disco.
P: “Villabanks è stato di grande ispirazione. Non siamo stati i primi a farlo, ma sicuramente lo facciamo a
modo nostro. In generale, non siamo i primi perché credo che questa visione fortemente cattolica che fa
parte della nostra cultura, per fortuna negli anni stia scomparendo. È la stessa cosa degli slur: penso sia
tutto figlio del suo tempo”.

Chi di voi è più Lovesick?
P: “Ad oggi, io. Prima era il contrario. L’amore è ballerino, ma direi che ad oggi sono io il più lovesick”.

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