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Pavel: lo Swarovski dell’underground – BUGtalks

Direttamente dai meandri dell’underground bolognese arriva Pavel, un mix oscuro di esperienze passate nel grindcore e di nuove esperienze e influenze della recente scuola rap, senza dimenticare la lezione di tanti maestri del cinema horror come Fulci e Romero.
Gli abbiamo chiesto di parlarci del suo primo album Swarovski e di dove lo porterà questa nuova esperienza musicale.

Ciao Pavel, cominciamo con le presentazioni: Chi sei, da dove viene il tuo nome d’arte e qual è il tuo progetto musicale?

Ciao! Sono sia un musicista che un amante della musica. Non c’è momento della mia vita in cui non mi circondi di musica, senza troppi confini di generi. Dalla drill al brutal death metal, senza soluzione di continuità. E penso che questa attitudine, questo approccio all’ascolto poi si riversi inevitabilmente anche nel progetto musicale PAVEL che è appunto caratterizzato da un’elevata poliedricità sonora. Per quanto riguarda il “nome d’arte” è praticamente da tantissimo tempo un mio vero e proprio nome, più che un soprannome. La maggior parte delle persone mi chiama così e a me va bene. Le radici di questo “nom de plume” sono così lontane che quasi non le ricordo, ma penso nacque tutto da un “inside joke” tra compari durante le lunghe nottate trascorse a parlare di storture sociali e sogni infranti.

Per chi non ti conoscesse tu hai già avuto altre esperienze musicali molto distanti da questa e arrivi dal grindcore. Cosa ti ha spinto ad approcciarti al rap? Trovi dei punti d’incontro con le tue passate band?

Si, ho iniziato sin da adolescente con Litfiba, Nirvana, Alice In Chains, Black Sabbath per passare dapprima all’ hc italiano (Sottopressione, Indigesti, Negazione, Atestabassa) e poi fare un salto senza possibilità di ritorno nel death, nel thrash e nel black metal old school. Ho suonato e cantato praticamente in tantissime band ogni sfumatura di genere estremo derivante dal rock. Ma ho sempre avuto uno spazio nel mio cuore per la cultura hip hop. Sul finire dei 90s in edicola c’era Aelle (Alleanza Latina) una rivista totalmente incentrata sulla cultura hip hop. La divoravo, ma all’epoca era già iniziata la fase calante del rap italiano e dunque anche nella rivista si rispecchiava la situazione stantia fatta di dissing e polemiche “su chi è hardcore e chi no”. Ecco per sintesi possiamo dire che è stato l’abuso di dissing come forma di espressione a far raffreddare nella mia adolescenza la passione per il rap. Penso che chi ha la fortuna di poter prendere un microfono in mano e far ascoltare la propria voce (cosa non scontata in questo mondo) dovrebbe riflettere bene e usare questa chance nel migliore dei modi possibili. Ecco il punto di contatto tra i generi suonati e il rap proposto è appunto nei contenuti, nell’espressività ricercata sia a livello vocale/musicale che proprio a livello di testi.

È da poco uscito il tuo primo album dal titolo Swarovski. Parlaci un po’ della genesi di questo progetto.

La pandemia, lo stare a casa fermo, fisso a guardare il muro. La possibilità di prendermi del tempo mentre tutto il mondo è fermo. Un’occasione d’oro per espandere la creatività per chiunque come me ha sempre divorato le espressioni sottoculturali distopiche, in letteratura e musica. Insomma sono passato da far l’operaio, montare palchi a poter aver tempo libero per cantare su beat: c’è stato un passaggio positivo e propositivo. Sotto la cenere del tempo sottratto covava tanto fuoco e volontà di comunicare, di urlare, di creare ponti musicali tra persone. Così è stato! Per essere un’ autoproduzione completamente underground Swarovski ha avuto davvero un riscontro molto ampio e positivo. Ne sono fiero! Ho potuto anche realizzare il sogno di una vita: fare un feat con Matteo Truce Baldazzi, con il quale ho un legame di amicizia da anni. “Nero Di Serpe” (la canzone del feat.) è un brano contro il cyberbullismo, senza troppi giri di parole. In Swarovski ho riversato praticamente tutto il mio immaginario hc socialmente impegnato, la passione per l’horror, e un citazionismo di film/canzoni/icone pop/ degno di un nerd, ma il tutto ricontestualizzato semanticamente in barre piene di polvere da sparo, pronte ad esplodere.

Nelle tue canzoni e nei tuoi video (come in quello di Woodoo Terreur Noire appena uscito – che noi abbiamo già visto in anteprima-) ci sono molti riferimenti ai capolavori di zombie movie dei maestri Romero e Fulci, come mai questa ispirazione? Pensi che queste pellicole possano ancora avere qualcosa da dire a distanza di tanti anni dalla loro produzione?

Mi scuserete l’excursus culturale. Non è per spararsi pose da intellettuale quale non sono e non voglio essere ma per rispondere in maniera appropriata. Philippe Ariès in un importantissimo libro di storia “Storia della morte in Occidente” ritiene che nella nostra contemporaneità si pratichi “l’eliminazione della morte” attraverso la rimozione del moribondo e del suo stesso morire. Non è concessa alcuna ritualità simbolica, nessun tipo di momento collettivo. Si muore sempre da soli, spesso per interruzione di cure, o ospedalizzati in situazioni e luoghi non famigliari al morituro. Abbiamo tutti ancora ben impresse le immagini della pandemia che confermano tale concezione storica della morte nella nostra epoca. Bene… lo zombie rappresenta in qualche modo il rimosso, ovvero ciò che torna a saldare il conto sospeso. In un mondo pieno di storture, il suo ritorno, il ritorno della morte scotomizzata, è inquietante, è un fattore perturbante, di rivolta, di rivoluzione. Vista sotto quest’ottica: si… anche a distanza di tempo la figura dello zombie può avere qualcosa da dire! Uno zombie è per sempre, più del diamante. Almeno finchè sarà certa la morte.

Altro grande tema dei tuoi testi è la componente politica, ormai quasi del tutto abbandonata nel rap italiano, nonostante sia nato dalle esperienze delle posse fiorite nei centri sociali dello Stivale: pensi che le sonorità della nuova scuola possano ancora sposarsi con temi sociali?

La componente di impegno politico è un fattore per me inscindibile dalla mia condotta etica e sociale, e si riflette dunque anche nella scelta delle tematiche. Non è importante trattare dei temi specifici o necessariamente utilizzare delle parole di un certo tipo o mostrare impegno sociale nella musica. Ciascuno è libero di esprimersi come meglio crede e scrivo questo non per ecumenismo ma perchè lo penso davvero. Detto ciò però bisogna analizzare i fatti: Il mercato musicale mainstream da sempre propone contenitori vuoti per intrattenimento usa&getta per le masse di giovani. La musica ad alti livelli è business e viene trattata come tale. Poco importa se la colonna sonora degli anni migliori della vita di una persona è composta da brani con refrain copia/incolla e testi imbarazzanti. L’importante in alto è monetizzare. A me fa rabbia solo quando queste tematiche vengono riproposte nell’underground, laddove invece essendo fuori dallo showbiz si potrebbe davvero spaziare con la fantasia. Oggi essere underground, la stessa cultura diy sono visti come due fattori L, da Losers, da sfigati. Contano le views, i numeri, le condivisioni, la tecnologia high quality. Siamo in un’epoca depauperante per chi vive di emozioni profonde, questo si.

Spesso rappi in dialetto, cosa ti ha portato a fare questa scelta?

Quando sono incazzato parlo in dialetto. I primi pezzi erano molto hc, molto diretti. Risentivano della fascinazione per Speranza che soprattutto nella prima fase con pezzi quali “Pagnale”, “Givova”, “Spall a Sott I e II” ha davvero scombinato le carte in tavola piazzandosi sotto i riflettori della scena italiana. E -riprendendo il discorso precedente- anche le sue tematiche in parte differivano dal solito mood superficiale e stantio. Il flow in casertano/francese/romani poi è stato un boost totale per me, mi ha rimesso voglia di riprendere a rappare, e così è stato, dunque la prima cosa che mi è venuta naturale è stata usare anche io il dialetto. Ora il dialetto nei miei brani c’è ancora… ma in misura più contenuta, mi piace molto switchare da un linguaggio all’altro: alto/basso, dialetto/italiano/francese/inglese/spagnolo.

Sei già riuscito a portare il tuo progetto in tour all’estero con una tappa in Inghilterra e in Francia a Marsiglia, come sono andate le date passate nella terra di Albione e presso i nostri cugini d’oltralpe?

Ho suonato dei pezzi drill uk a Brighton e alcuni più france drill a Marsiglia. Sono felicissimo, posso anche morire qui. Scherzi a parte è stato molto interessante scoprire come in tanti hanno colto dalla mia fisicità, dal mood della voce, dalle espressioni facciali i temi e i sentimenti alla base delle songs. Sono stati due mini tour interessantissimi per testare le mie skills e le canzoni, e entrambe le date sono state molto molto partecipate. Il che non guasta, anzi!

Hai già dei progetti per il futuro?

Ho appena registrato il secondo full. Ci sarà tanto hc, ancora drill, un pò di sonorità e vocals legate al mio trascorso death/black metal, però anche molto boom bap, tanta old school, e sprazzi di soul qui e li. Ho deciso di non pormi limiti ragà, il bello di avere un solo project è proprio questo. Grazie per lo spazio concessomi. Bless ya