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Luce e buio danno vita ad una Cometa: distorta, eclettica e pura

Luce e Buio in contrapposizione ma sempre unite dal sottile filo dell’arte, danno vita a Cometa, il nuovo EP di Luchino Luce interamente prodotto da xx.buio per Bomba Dischi.

Classe ’98, Luchino Luce è un cantautore originario di Padova che non perde tempo a farsi strada tra i vicoli e le contraddizioni della provincia con nelle orecchie il rap vecchia scuola di Fabri Fibra a fargli da colonna sonora.
Ben presto, a soli 19 anni, decide di trasferirsi a Londra dove resterà fino ai 21 e dove entrerà a contatto con quelle che sono le estetiche più industrial di quegli anni, con l’arte contemporanea oltre ogni schema e la musica avant-garde. Queste contaminazioni rendono chiaro all’artista la strada da percorrere: quella del vivere la musica e l’arte in modo spontaneo e di pancia, quasi a fregarsene di tutto e tutti. Un insieme di immagini che arrivano all’improvviso, dei bisbigli e della poetica che urla a gran voce per ricercare la propria dimensione corporea, irrazionalità e, al contempo, la distruzione dei suoi stessi canoni. I due EP all’attivo, 1 2 3 Stella (2021), e Nuovo Maschio (2022), pubblicati da indipendente, gli danno modo di sperimentare suoni ultra digitali e testi la cui stesura risulta complessa e molto vicina a quello che si potrebbe definire un ricco flusso di coscienza. Con l’amico produttore xx.buio., danno vita a questo EP di enorme talento e originalità che ci accompagnerà per i prossimi mesi. Lo sentiremo in digitale e in versione vecchia scuola grazie ad una serie di concerti tutti da scoprire ma, in attesa di saperne di più, abbiamo deciso di scambiare quattro chiacchiere con lui e vedere con occhi più chiari questa Cometa tutta da ascoltare.

Ciao Luchino Luce, il 28 ottobre è uscito per Bomba Dischi, il tuo nuovo EP Cometa, interamente prodotto da xx.buio. Come da rito, per rompere il ghiaccio, ti facciamo la domanda più classica ma mai banale: come stai? E come ti senti in merito a questo nuovo progetto dal sound molto internazionale all’interno di un contesto che solo ultimamente si sta aprendo a sonorità complesse come la tua?

Sono contento. Credo che siano sonorità molto semplici. È l’orecchio delle persone ad essere pregiudicato. Se ascoltate il mio lavoro con sincerità diventate super fan, ho questa convinzione. Gli italiani sono un popolo estremamente allergico alla contemporaneità e spero che questa cosa si possa cambiare.

All’interno di Cometa, scegli di raccontare la tua personale poetica, basata sulla celebrazione di una sessualità umida, del corpo umano e della lotta interiore contro il disagio socio-culturale, creando e giocando, per tutta l’interezza dell’EP, sulla contrapposizione di luce e oscurità. Quanto può essere più o meno complesso mettersi a tavolino con se stessi per un giovane artista con così tanto da dire?

Non te ne deve fregare un cazzo. La musica va fatta di pancia. Mettersi a tavolino è una presa male incredibile, un incubo solo a pensarci. Più che dei concetti pensati a priori, devi immaginarteli come degli impulsi violenti. Dal nulla mi arriva un’immagine, bisbiglio una frase e mi viene poi da ripeterla in varie forme, come una sorta di canto rituale. Da lì nasce tutta la poetica, tutta la coerenza. 

Un mix di contrapposizioni, pur sempre correlate, sia nel sound che nei testi, fanno di Cometa un progetto eclettico e complesso. Lo si respira in ogni traccia, ma emblematica in questo senso è la focus track: Whiteboy. Una traccia oscura e nichilista rispetto alla prima parte dell’EP che al contrario è più tendente alla luce e alla purezza. Quanto può essere distruttivo e al tempo stesso liberatorio per un artista lasciarsi andare così profondamente? Hai timore che la tua essenza ed operato non vengano del tutto compresi?

Te lo ripeto: la musica complessa è altra. Io ‘sta roba l’ho scritta da sfasciato tra Straight Outta Compton e un threesome. Verrò capito da chi vuole capire, questi timori lasciamoli a casa. 

Come nasce il tuo personale processo artistico di scrittura e composizione musicale?

Mi fumo una canna, xx.buio fa i suoni e ci siamo. Buona la prima. Poi c’è tanta ricerca pregressa ma è sempre extra-musicale. Ho pochi amici stretti con cui mi piace fare cose e poi confrontarmi, cerchiamo sempre di auto-analizzarci e capirci a vicenda. È una parte fondamentale per poi poter scrivere bene, a fuoco. 

In Cometa ti muovi in maniera molto contemporanea tra diversi stili musicali: post-trap ricco di contaminazioni cloud rap e hyperpop con un accentuato gusto per l’estetica punk e gotica. Un viaggio stratificato all’interno di una crescita che mette le sue radici nell’arte contemporanea e nella musica avant-garde. Tutto questo è frutto di una tua crescita e ricerca musicale personale o sei stato influenzato da qualcuno in particolare, artista o meno?

Il sound lo setta xx.buio come un recinto perché io non mi so gestire. Personalmente sono stato influenzato dal non ascoltare musica per quasi un anno. Una cosa bellissima. 

Come ti piacerebbe evolvere la tua arte e ci sono artisti con i quali ti piacerebbe collaborare per esprimerti al meglio?

Verso una direzione più autoritaria, più granitica. Per collaborazioni probabilmente qualche rapper veneto che parla di quanto faccia schifo il mondo. Tipo Yaneez e La Serte, ve li consiglio. 

Sei brani che ti elevano e mostrano la tua personalità come scrittore ed eclettico sperimentatore, influenzato da sound internazionali che riecheggiano e che rappresentano una testimonianza diretta di giovane italiano che cerca la propria dimensione tramite l’arte e, al contempo, la distruzione dei suoi canoni. Come ti sei trovato a collaborare con xx.buio alle produzioni? C’è stato subito quel giusto feeling che ha portato poi alla realizzazione di un progetto così originale?

Io e Alessandro ci siamo conosciuti e abbiamo semplicemente vissuto. Le notti a sfasciarci, le mattine a fare i rider. Dopo sei mesi, abbiamo detto “okay facciamo un pezzo”. Ed ha funzionato. Un’altra cosa è che parliamo tanto, forse troppo. 

Un talento in continua evoluzione, con una continua voglia di sperimentare.
Cosa vorresti dal tuo futuro? Come ti vedi da qui ai prossimi cinque anni?

Non mi sento così sperimentale, la mia musica è diretta e identitaria. Tra 5 anni mi vedo a CityLife a discutere d’amore con Fedez o in un piccolo paese delle Dolomiti a pascolare le pecore. 

E più nel concreto, quali sono i tuoi progetti per questo 2022 e per il prossimo anno ancora tutto da scoprire?

Concerti, concerti, concerti. Minorenni etero seguitemi all’inferno. 

Francesca Cerardi

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