Dall’America J Lord

A vedere lui, la sua attitudine e la sua estetica sembrerebbe un ghetto-boy di una qualsiasi metropoli americana, magari New York. A sentire le sue canzoni, però, si capisce che è italiano, o meglio, napoletano. Non solo dall’accento inconfondibile che può essere riconosciuto facilmente anche da un trentino o da un friulano, ma anche e soprattutto dalle sue parole e dalla “cazzima” di cui è intrisa la sua voce. A neanche 18 anni ha pubblicato il suo disco d’esordio che sa tanto di un buon punto di partenza per una carriera che promette tanto.

No Money More Love

J Lord, all’anagrafe Lord Johnson, nasce nel 2004 in Ghana e cresce in provincia di Napoli. Come a tanti suoi colleghi è accaduto, ha avuto un’infanzia e un’adolescenza tutt’altro che facile, che viene raccontata nei singoli che precedono questo progetto (in “Sixteen” e “Tanti auguri a me” su tutti). Nonostante la sua giovane età, ha raccolto l’attenzione di alcuni big della scena: è arrivato infatti ad essere presente nell’album di Mace, OBE, in una traccia solista. Tutti questi singoli episodi erano però solo preparatori del suo disco d’esordio, intitolato “No Money More Love”.

 

Soldi e amore

Già il titolo enuncia quelle che sono le due anime di questo disco: i soldi (intesi anche come successo) e l’amore. Sono certo temi trattati e ritrattati nel rap, ma J Lord riesce nella difficile impresa di non farlo banalmente: esprime concetti interessanti, con uno stile e un’attitudine che si distinguono da quelli maggiormente diffusi oggi. Nei brani più personali racconta il suo presente e il suo passato: nella Intro dice “mi sfogo sopra a un foglio per gratitudine personale”, e ancora “mi sto mettendo nudo davanti a te, non mi giudicare”. Oppure nel brano “Pelle d’oca” che vede la collaborazione di Massimo Pericolo racconta “abbiamo vissuto le cose belle senza farci una storia”.

Napoli – America: andata e ritorno

Ciò che sorprende di questo disco, però, non è solo la maturità e l’arguzia espressa nei testi, ma anche il modo in cui mette in rima ciò che sente: usando la sua lingua, il napoletano, riesce ad essere molto musicale e orecchiabile, nonostante certe volte parli di eventi duri e pesanti. Grazie alle ottime produzioni realizzate in gran parte da Dat Boi Dee, dà vita ad un sound che strizza l’occhio a sottogeneri del rap come il gangsta rap o il g-funk, fino anche al pop più classico (vedi il brano “Tiffany” in cui sembra riprendere la batteria di Billie Jean di Michael Jackson).

Next big thing

Come detto in precedenza, il rapper napoletano deve ancora compiere 18 anni, ma sentendo le sue canzoni e leggendo i suoi testi non si direbbe: è infatti uno dei tanti ragazzi cresciuto in periferia che, per citare Luche in “Int’o rione”, si fa uomo ancora prima di diventare grande. Il suo rap non è banale o infantile, come invece risulta quello di tanti che iniziano a buttare rime a quell’età. Veicola invece messaggi carichi di significato e che possono avere un grande impatto anche su chi è più grande di lui.

J Lord insomma rappresenta una delle novità più interessanti della sua generazione, quella post-trap “classica” (rappresentata dai vari Sfera, Tedua, Izi ecc.): ha flow, capacità di scrittura, e un ottimo sound. La cosa che mi piace di più di questo disco è che il suo autore non ha avuto paura di sperimentare, di andare oltre quelli che sono i canoni che potrebbero irrigidire l’arte e la creatività. Questa potrebbe essere la strada per J Lord di diventare grande: andare a pescare in altre culture e in altri mondi per arricchire e farcire il proprio. Che già di per sè viene raccontato molto bene.