limp bizkit still sucks recensione review

Limp Bizkit o Cheap Bizkit?

Se chiudete gli occhi e fate tabula rasa delle informazioni precedenti, potremmo gridare al miracolo. Se “Still Sucks” fosse un progetto partorito da una band emergente sui 20/25 anni, senza grossi tour alle spalle e senza esperienze importanti di studio, vi direi che abbiamo di fronte una new entry promettente e da tenere monitorata. 
Ma così non è; “Still Sucks” infatti è l’ultima fatica del Biscotto Molle, quel Biscotto Molle!

Quelli che nel 96 approcciarono goffamente i Korn, tatuando male la schiena di Brian Head, per potergli girare un demo che gli valse come biglietto di prima classe per un successo mondiale targato prima Family Values Tour, poi MTV. Non sbagliavano un colpo, erano più micidiali delle punizioni di Roberto Carlos e, quando arrivava l’annuncio del nuovo disco, sapevi che sfondavano tutto senza chiedere il permesso: classifiche, concerti e negozi di dischi presi d’assalto.

Mi ricordavano gli NWA dell’88 che, con “Striaght Outta Compton” (album super maleducato vietato negli stores), si prendevano l’attenzione delle masse con prepotenza, a discapito dei poeti di NY più letterati e raffinati, saltando a piedi pari le tappe imposte dal mercato. Facevano incazzare i metallari perché portavano sonorità ruvide ma stilose vestendosi con i baggy e i bling, mentre molestavano le celebrità e i mates del settore con dissing al limite della denuncia o del pestaggio.

Oggi, come molti loro colleghi attempati, cercano di stare al passo con i tempi, ma a che prezzo?

Intanto dimentichiamoci il magico drumming funky jazz di John Otto, rilegato a comparsa ed esecutore; scelta forse dettata dal cambio di suoni, forse dall’età, non lo sappiamo, ma anche DJ Lethal (House Of Pain e Coka Nostra) si accoda in terza base e gli scratch diventano sempre meno incisivi e marcati di qualsiasi altra produzione, favorendo tonnellate di synthoni che sinceramente sembrano strizzare un po’ troppo l’occhio ai BMTH.

Altro lato parecchio negativo è la produzione: capisco pienamente che tutte le band di quella generazione fossero state abituate a budget faraonici che gli sbloccavano studios e produttori titanici per mesi e mesi, ma una differenza così marcata imbruttisce il risultato finale, no way! Basta semplicemente accostare “Still Sucks” al primissimo “Three Dollar” o all’ultimo “Gold Cobra” (album che ritengo ancora di alto livello per tutte le premesse fatte prima) e si capisce che i 5 di Jacksonville hanno preferito infine l’omologazione alla differenziazione, punto che si sarebbe rivelato vincente in un periodo storico in cui tutti sentono il bisogno di una ventata di personalità e indipendenza. Questo credo sia il difetto peggiore dei 12 episodi di “Still Sucks”, perché comunque Fred, Wes e Sam Rivers tengono alta l’asticella per tutti i 32 minuti di esecuzione.

Al contrario dell’opinione popolare penso che il pezzo migliore e più Bizkittiano sia “You Bring Out The Worst In Me”, con i continui alti e bassi di dinamica così tipici sia di “Significant Other” che di “Three Dollar”, seguito dall’intermezzo “Love The Hate”, con la base classy darkettona e seminale.
Non sono fan delle ballads (“Don’t Change”, “Goodbye” e “Empty Hole”), ma sicuramente Fred su questo genere riesce ad esprimere una qualità eterogenea vocale di alto livello, come già fatto su “The One” e “Behind Blue Eyes”.

Ma anche qui io mi chiedo: ci fate aspettare 10 anni per darci 3 ballads, 2 pezzi room più o meno rappati, 6 canzoni che non sarebbero i singoli di nessun album della golden age (o forse solo “Dirty Rotten Bizkit”, ma non su “Chocolate Starfish”) e una telefonata di Wes Boreland a un improbabile intervistatore? 

Per me siamo al punto in cui qualcuno deve alzarsi e farsi sentire, le nuove leve di cui parlavo appunto all’inizio: Fox Lake, UnityTx, Dropout Kings, Bloodyouth, DVSR, Hacktivist.

Se uno di 20/25 anni chiude metà delle rime di un disco con betch, fock, moderfoker, ducksucker diciamo che non è poi così grave; se lo fai a 51 anni probabilmente si, indipendentemente dal livello di delivery, dal flow o da quello che hai fatto prima.