decoder cyberpunk milano

L’esperienza del collettivo DECODER a Milano 1987-1998

I PIEDI SULLA STRADA, LA TESTA NEI COMPUTER

Controculture, movimenti sotterranei e informazione libera.
La controcultura cyberpunk approda in Italia, a metà degli anni ottanta, sui circuiti e cortocircuiti delle pagine di una rivista dalle tematiche all’avanguardia, Decoder: rivista internazionale underground. Lo scopo: creare connessioni, network reali e virtuali, sottoforma di interferenza dai normali sistemi di informazione.
Il motore pulsante risiedeva nella voglia e nella necessità intrinseca di affrontare un futuro temuto che, dai tempi del punk, sembrava sparito a forza di ripetere “No future”.

Il cyberpunk come sottocultura sviluppa il suo immaginario e le sue tematiche come sottogenere della fantascienza, da cui però si distingue per la particolare attenzione posta verso le problematiche del contemporaneo, reinterpretate ed espresse tramite rivisitazioni, allegorie, similitudini ed elucubrazioni sull’ipermoderno,facendo leva sulle contraddizioni e le ipocrisie della società tecnologica, fino al punto di nascere come sottocultura ma svilupparsi e prendere forma come controcultura.

DA RIVISTA A MOVIMENTO: CONTESTO

“La situazione controculturale italiana era dominata dal riflusso degli anni settanta, tra la repressione dei movimenti e il tentativo di annichilimento delle nuove esperienze. Un contesto fatto di spazi occupati, fuga dall’eroina e primi approcci alla rete.”

Marco Philopat, I Pirati dei Navigli, Bompiani 2017

Sappiamo bene l’importanza dei luoghi di aggregazione per spronare la nascita di collettività e movimenti. Era il 1984, a Milano lo spazio occupato Virus, principale luogo di diffusione della prima scena punk in Italia, veniva sgomberato. Nel frattempo la libreria Calusca apriva le sue porte: si trattava di uno spazio in cui si poteva reperire facilmente materiale alternativo, artistico e radicale, gestita dalla figura di Primo Moroni, intellettuale controcorrente e attivista. La libreria era un archivio di molte pubblicazioni e testimonianze delle esperienze passate, come quelle degli anni settanta. Ex militanti, punk, studenti di informatica, filosofia e sociologia iniziarono a frequentarla e incontrarsi intorno a questo centro pulsante di dibattiti e discussioni su nuovi temi, iniziando a concepire l’idea di un un collettivo-redazionale.

Moroni mise a disposizione una sala per lo sviluppo dei loro progetti: «bisogna lavorare sull’uso sociale delle nuove tecnologie…» . In questi spazi nel 1987 nasce (interamente autoprodotta) “Decoder: rivista internazionale underground”. Decoder ha l’intento di decodificare il presente. Diffondere, divulgare, informare, tramite riflessioni sull’utilizzo alternativo delle tecnologie, focalizzandosi sulla ricerca e sulle possibilità che ruotavano attorno alle rete per creare nuovi spazi di controinformazione. .

L’autoproclamatasi “Rivista internazionale underground” prendeva spunti dalla rete delle riviste, dei festival, degli appuntamenti della cultura cyber e controculturale europea e americana, focalizzando la propria attenzione, da un certo momento in poi, alla cybercommunity degli hacker e al pirataggio informatico.

Il collettivo realizzò anche la prima rete telematica alternativa in Italia (quelle che allora si chiamavano BBS), prima che Internet diventasse un fenomeno di massa come lo conosciamo oggi. Venivano utilizzati materiali di scarto presi nelle discariche per assemblare computer o dispositivi di realtà virtuale a basso costo, dando seguito alla filosofia D.I.Y punk, ma applicandola alle nuove tecnologie.

La prima edizione fu stampata proprio a Bologna, presso la tipografia Bold Machine.

TEMI

I temi affrontati sono numerosi e toccano tanti ambiti approfonditi con interviste agli esponenti più attivi della cultura cyber internazionale, nonchè ai padri del cyberpunk W.Gibson e B.Sterling, autori di capisaldi della letteratura beat e cyber come “Isole nella rete” (B:Sterling), “La trilogia dello Sprawl: Neuromante, Giù nel cyberspazio e Monna Lisa Cyberpunk” (W.Gibson) ed arrivando persino a W. Burroughs (precursore delle tematiche cyberpunk nel periodo della beat generation, autore del celeberimo “Il pasto nudo”).

Tra i temi la politica del no-copyright, le patologie della comunicazione come critica e analisi dei programmi televisivi (con la rubrica Katodika); riflessioni sulle smart drugs, relazione tra violenza e tecnologia, il femminismo cyber: tutte queste tematiche, ed altre, si intersecavano e prendevano forma, per la prima volta in Italia, sulle pagine di Decoder.
Già nel secondo numero (1988) venivano tradotti testi della crew newyorkese Public Enemy, successivamente introdussero la musica industrial e elettronica con gli Einstürzende Neubauten e il movimento rave-travellers negli anni novanta.

Prof. Bad Trip (Gianluca Lerici)

E ancora l’analisi del cinema underground di Nick Zedd, Decoder dei piccoli, la sezione di fumetti e illustrazioni tra cui le tavole del Professor Bad Trip (Gianluca Lerici).

Venne introdotto il collettivo hacker Chaos Computer Club a Berlino con i primi attacchi alle banche dati. Il tutto visto da un ottica controculturale ed autogestionale. A questo proposito, come non citare l’intervista ad Hakim Bay, (filosofo e scrittore anarchico, celebre per la teorizzazione del concetto di T.A.Z., che ci ha lasciati questa domenica 23/05/22). I temi affrontati in dieci anni di pubblicazioni furono moltissimi.

La numerazione delle pagine di Decoder continuativa tra un numero e il successivo, permetteva di rilegarli tutti insieme, costituendo una vera e propria antologia della controcultura di quegli anni.

DECODER MEDIA PARTY

La rivista pubblicata in 12 numeri, dalle iniziali 1500 copie arrivò a toccare le diecimila per numero. Con questo successo emergeva la necessità di creare e organizzare eventi pubblici, per creare un confronto e integrare il pubblico: i Decoder Media Party. Si trattava di presentazioni molto particolari, un’esplosione performativa di tutto ciò che era pubblicato sulle pagine della rivista. Dibattiti con ospiti internazionali, presentazioni in cui mettevano le nuove tecnologie a disposizione del pubblico. Quando era possibile, utilizzavano i computer per organizzare piccoli corsi di alfabetizzazione informatica. Visori di realtà aumentata a basso costo, laboratori, proiezioni, artisti del digitale. Grossi dibattiti sulle reti telematiche per creare nuovi canali di controinformazione e spazi liberati digitali.

La modalità ricordava dei piccoli festival da pomeriggio a tarda notte, tenuti in luoghi occupati e della durata di più giorni. La sera continuava con dj set e spettacoli, che videro anche le performance dei Mutoid Waste Company (i mitici artisti e performer inglesi che con le loro sculture meccaniche e robot in ferro realizzati con materiali di scarto, hanno reso il loro modo di vivere e esprimersi uno status, al punto da formare una delle poche comunità autonome e stabili qui in Italia, a Sant’arcangelo di Romagna).

I Media Party creavano una situazione di vera alfabetizzazione digitale.

L’esperienza cyberpunk italiana ha influenzato profondamente anche la controcultura internazionale, contribuendo a consapevolizzare sulle mutazioni che l’intensificazione multimediale stava già iniziando a produrre sulla società, ed in cui oggi ci troviamo immersi.

E’ proprio per questo motivo che queste riflessioni dovrebbero essere riprese in mano, specialmente tra le nuove generazioni: la tecnologia può essere usata come strumento di sperimentazione e liberazione, ma questo solamente tramite un utilizzo consapevole.

Internet, con la sua nomea di luogo di incontro, evidenzia una parvenza di libertà, ma non è un luogo neutrale. I punk cibernetici ci hanno dimostrato che nella tecnologia prodotta dalla società del controllo, c’è la possibilità di trovare crepe.                                                     E, di conseguenza, forme di liberazione inaspettate.

Riguardare da vicino queste esperienze e riaffrontare questi dibattiti può essere un buon punto di partenza per non perdersi nel flusso di dati che aumenta, in cui orientarsi diventa sempre più complicato.