Buon trentesimo compleanno Maus!

In occasione del trentennale di Maus, Einaudi ha deciso di pubblicare in una nuova edizione, il capolavoro di Art Spiegelman. Una delle massime vette artistiche raggiunte nell’arte della Graphic Novel.

Quest’opera porta necessariamente ad interrogarsi sull’Olocausto e sulle sue ragioni. Sul perché è potuta accadere una tragedia simile. Mi rendo conto che oggi porsi certe domande è forse un atto fuori moda. È forse il segno di un declino civile e morale. È forse prendere alla lettera in una prospettiva superficiale la famosa frase del filosofo Adorno che negli anni immediatamente successivi alla tragedia dei campi di concentramento disse:

“Scrivere una poesia dopo Auschwitz è barbaro e ciò avvelena anche la stessa consapevolezza del perché è divenuto impossibile scrivere oggi poesie”.

Qui Adorno si interrogava sullo stato dell’Arte e sulle sue possibilità e capacità di racconto di un’umanità frantumata e posta sotto scacco. Andando oltre e precisando il suo pensiero al di là dell’aforisma a sé stante, anni dopo l’autore della Dialettica dell’Illuminismo corresse il tiro:

“Il dire che dopo Auschwitz non si possono più scrivere poesie non ha validità assoluta, è però certo che dopo Auschwitz, poiché esso è stato e resta possibile per un tempo imprevedibile, non ci si può più immaginare un’arte serena”.

Mi fermo a riflettere su questa affermazione così perentoria e poetica. In effetti qualsiasi discorso su Auschwitz si rende problematico e offre a prescindere una prospettiva complessa e obliqua. L’interrogativo è prima di tutto: “In che modo è possibile raccontare l’orrore?”.
Quell’orrore assoluto proprio perché ingiustificato che ci rende testimoni muti dell’abominio. Muti ma al tempo stesso desiderosi di gridare e gridando di raccontare.

Molti artisti hanno provato a raccontarlo sfruttando le potenzialità dei media che abbiamo a disposizione, dalla letteratura al teatro fino alle arti visive. L’hanno fatto per la maggior parte utilizzando il registro pietistico e struggente, l’inevitabile afflato al dolore lancinante e all’indignazione; oppure come nel caso della Vita è Bella, hanno usato l’arma dell’ironia per proporre una narrazione spiazzante e controversa, dalla spiccata valenza metaforica.

Molti artisti hanno provato a confrontarsi con questa vetta dell’inumano, ma pochi hanno saputo proporci una narrazione così complessa e sublime e perturbante come ha fatto Art Spiegelman con Maus. Un racconto in cui la ricostruzione storica, i temi autobiografici, l’ironia spiazzante si fondono in un concerto dall’armonia dissonante.

Quest’opera fu pubblicata in volume dopo essere apparso a puntate nel corso del decennio precedente, dal 1980 al 1991, sulla rivista Raw, e nonostante tutto il tempo che è passato resta ancora impossibile non interrogarla con la stessa aspettativa e riverenza che si riserva ai grandi classici.
L’opera è divisa in due parti: la prima, intitolata Mio padre sanguina storia si raggruppa in 6 capitoli in cui mostra la perdita dei diritti e la decadenza della vita degli ebrei polacchi nel periodo immediatamente precedente allo scoppio del conflitto mondiale. La seconda, dal titolo: E qui sono cominciati i miei guai, composta di 5 capitoli che descrivono la vita o per meglio dire la sopravvivenza degli imprigionati nei campi di concentramento.

Una prigione che riduce l’umano alla dimensione bestiale. Come se dei gatti (i nazisti) avessero messo in cattività dei topi, appunto il Maus del titolo, appunto i prigionieri ebrei. Possiamo dire che il primo colpo di genio di Spiegelman è proprio quello di proporre i protagonisti della sua graphic novel raffigurati come animali. Così i nazisti sono rappresentati come gatti, gli ebrei come topi, i francesi come rane, gli americani come cani. Una tecnica tipica del racconto per ragazzi per riferirsi ad un tema adulto e tutt’altro che leggero.

L’aveva fatto anche Italo Calvino nella sua opera d’esordio “Il sentiero dei nidi di ragno”. Nel racconto dello scrittore sanremese era la resistenza partigiana ad essere vista dagli occhi di un bambino. Qui invece è lo stesso autore a farsi personaggio. Un personaggio che nel presente intervista suo padre Vladek, sopravvissuto alla follia nazista. Lo fa per cercare di trovare un senso attraverso cui comprendere cosa è stato quel periodo in cui la vita stessa dell’umanità tutta è stata offesa.

Maus è un testo in cui i piani e i tempi del racconto sono sovrapposti. In cui la narrativa, il saggio storico, l’opera poetica, la maestria fumettistica e la dimensione personale e psicoanalitica sono fuse. In questo modo riesce a proporre una risposta alla domanda da cui ho iniziato a scrivere questo testo.

E allora sì, forse è possibile ancora fare poesia dopo Auschwitz. È possibile a patto che a parlare siano dei poeti come Art Spiegelman.