turnstile glow on recensione

I Turnstile con Glow On hanno colorato l’hardcore

La scelta stilistica della band di Baltimore ha spaccato in due la scena: da una parte chi li vorrebbero mettere al rogo come money makers, dall’altra chi li ama alla follia.

Ed è proprio questo l’intento dei Turnstile che, dopo il bellissimo lavoro del 2018 con Time & Space, album che li ha proiettati de facto fuori dal bacino underground, tornano a farsi sentire dandoci in pasto Glow On. Analizzando l’evoluzione stilistica, vediamo una sempre maggiore consapevolezza di sè stessi e della presa di coscienza, che li porta a mixare senza paura o regole inutili tutte le loro influenze con il punk hardcore alla Snapcase che li ha portati in giro per il mondo. Atmosfere psichedeliche, percussioni tribali, momenti riflessivi e dilatati che poi esplodono negli episodi più frenetici e destinati a uno stage diving infinito durante i live.

Su questo LP da 15 tracce per mezz’ora abbondante di musica, i TS ci presentano una band che abbandona qualsiasi freno inibitore per donarsi completamente alla composizione; ed è qui che nascono canzoni come “Underwater Boi”, “Fly Again” e “Alien Love Call”, punti fermi per tirare il fiato dentro scalette live che si fanno sempre più lunghe e ricercate, complice la sempre maggiore esposizione mediatica. Contemporaneamente, non fate l’errore di sottovalutare il coraggio del quintetto, perché queste tracce si inseriscono lisce come l’olio nelle set list e vengono eseguite con un’unica voce tra il pubblico e Brendan (date un occhio su YouTube per credere).

Non mancano ovviamente le sane sfuriate energiche, radice e blueprint imprescindibile dei primi lavori; apertura affidata a “Mistery” e “Blackout”, già uscite insieme all’irresistibile “Holiday”, diventano dei veri must sopra e sotto il palco, che affiancate alle già rodate “I Don’t Wanna Be Blind” e “Real Thing”, creano la situazione adatta a chi giudica un progetto anche (se non soprattutto) nell’approccio fisico del concerto. Freaky Franz e Dani Fang costituiscono un duetto ritmico invidiabile, attraverso il quale viene intessuto un pattern armonico che vaga dai Jane’s Addiction alle bordate seminali delle origini.

Questo fattore da solo dovrebbe conquistare anche gli stoici più ortodossi, mentre per chi ama la sperimentazione consiglio vivamente “Don’t play” e “WILD WRLD”, con dei richiami latini inaspettati. I featuring con Blood Orange impreziosiscono un bottino già super carico di gioielli.

Un discone da ascoltare tutto d’un fiato, promosso da Roadrunner Records e con all’attivo più di 16000 vinili venduti nella prima settimana dall’uscita. Non male per il progetto del batterista dei Trapped Under Ice (Brendan Yates, ora alla voce), alcuni loro roadies, che si portavano dietro nei tour, ed a una manciata di Angel Du$t per chiudere una squadra che, dal DIY più puro, ha tirato su la testa ed è chiamata a rappresentare anche nei festival più grossi!

Lode ai Turnstile.