Con Kombat Rap, Kento è più agguerrito che mai – BUGtalks

È passato poco meno di un mese dall’uscita dell’ultimo album del rapper reggino, finalmente siamo riusciti ad incontrarlo e a fare due chiacchiere a proposito del suo ultimo progetto e della sua instancabile e prolifica carriera.

Il tuo nuovo disco si può definire denso, vario e soprattutto hip hop, nelle citazioni, nell’attitudine e nelle sonorità, ma c’è anche tanta introspezione. Come nasce Kombat Rap e da che periodo di vita vissuta arriva il disco?

Ti ringrazio della definizione perché l’attitudine Hip-Hop è qualcosa che non si inventa e non si improvvisa. È una ricerca continua e, per me, è una ricerca che è ancora molto lontana dalla conclusione perché ritengo di avere ancora molto da imparare, molto da studiare, molto da migliorare. Il disco nasce appunto da un periodo in cui ho cercato di mettere a fuoco questa ricerca sia nella scrittura che nelle esperienze. Da un lato, la pandemia ci ha costretti a casa, e quindi ho sfruttato questo periodo mettendo su carta tante cose che avevo in testa, rap e non solo. Dall’altro, ho cercato di guardare avanti e di gettare le basi di ciò che potevo fare una volta che il mondo si fosse riaperto, e adesso sto raccogliendo i frutti del lavoro, tra cui ovviamente questo album, che ci sta già dando delle enormi soddisfazioni. Anche qui l’impegno non è finito, anzi adesso sto affrontando la parte più intensa e bella: quella di portarlo dal vivo sui palchi! Sono fortunato a poter vivere queste esperienze e cerco di godermele al meglio.

Si sente che c’è una grande ricerca di varietà musicale, quali sono state le tue influenze nella scrittura (ma anche nei tuoi ascolti personali)?

Sono appassionato di musica e cultura afroamericana, per me sarebbe impossibile capire il rap senza inquadrarlo in una grande famiglia che passa dal soul, dal funk, dal blues e anche dal reggae. E quindi, ovviamente, questi generi influenzano anche la mia scrittura. E poi la poesia e tutte le forme di poesia performativa che, in qualche modo, si avvicinano al rap, come la dub poetry, la spoken word, la slam poetry. Linton Kwesi Johnson, Mutabaruka, i Dead Poets, Gil Scott Heron, giusto per fare qualche nome. Tra gli italiani sono stato molto ispirato dalla musica che si ascoltava in casa quando ero piccolo, e quindi Guccini, De André, Tenco. Per quanto riguarda i miei ultimi ascolti, ho dato un’occhiata al mio Spotify e dice Kabaka Pyramid, L’Entourloop e Sick Jacken.

Tanti produttori e tanti featuring, alcuni ben noti nell’ambiente come Claver Gold e dj FastCut, altri provenienti da altri ambiti, tipo Johnson Righeira. Che modalità usi quando scegli con chi collaborare?

Semplicemente cerco di avere una mentalità aperta e libera e di non farmi rinchiudere all’interno di nessuna gabbia mentale o di genere. La collaborazione con Righeira è qualcosa di così inaspettato che in nessuna intervista manca la domanda su di essa, e questo ovviamente mi fa piacere, perché appunto significa che sono uscito da uno schema che magari ci si aspettava da me. Poi è chiaro che lui è uno che sa scrivere dei ritornelli killer, uno che ha venduto i milioni di dischi quando ancora i dischi si dovevano vendere sul serio per entrare in classifica, non c’erano i trucchetti di cui si sente parlare adesso… Penso, a questo punto della mia carriera, di aver sviluppato una scrittura abbastanza solida da potermi confrontare con qualunque artista, qualunque sound, qualunque beatmaker senza risultarne schiacciato, e provando a portare avanti la mia filosofia, la mia visione dell’arte e la mia tecnica.

Però siamo tutti curiosi di sapere come è nato il feat con Lucy Lawless…

Qualche tempo addietro mi ha scritto un messaggio privato dicendo di essere mia fan, e io ovviamente manco ho risposto perché pensavo che fosse un fake. Poi degli amici comuni mi hanno detto che lei in realtà è appassionata dell’Italia e della nostra musica, infatti parla anche un po’ di italiano. Quindi abbiamo iniziato a sentirci, lei è venuta qui in Italia per qualche tempo e a quel punto è stato naturale andare in studio di registrazione ed inventarci, anche qui, qualcosa di completamente inaspettato. È pazzesco vedere il tipo di amore che riceve specialmente dalle donne: impossibile girare per strada senza qualcuna che la fermi per ringraziarla, dicendole che il personaggio di Xena le ha insegnato una femminilità diversa, forte e senza paura. In questo periodo è la protagonista di una serie investigativa che sta avendo molto successo, ma prima o poi la porterò su un palco con me.

Quest’anno possiamo festeggiare il 50esimo compleanno dell’hip hop. Tu hai alle spalle una lunga carriera, e davanti altrettanti anni. Che posto ti senti di occupare dentro al rap italiano nel 2023?

Quando mi chiamano “maestro” rispondo che non sono nemmeno bidello. Faccio il mio e cerco di farlo in maniera credibile, tutto qua. Cerco di non giudicare e non voglio essere giudicato. Allo stesso tempo non sono San Francesco: da questa cultura e questa vita mi arriva tanto di bello, e cerco di godermi tutto. È vero che io ci ho investito tanti anni, ormai decenni, e continuo a investirci, ma i risultati che arrivano mi ripagano ampiamente da ogni punto di vista. Non mi aspetto nessun riconoscimento se non lo stare bene e il far star bene le persone che ho vicine, per quello che posso. Bruce Lee diceva: io non faccio esperienza, io sono esperienza. Ecco, io cerco di non fare Hip-Hop ma di essere Hip-Hop. Come ti dicevo sopra, è un percorso che dura tutta la vita.

Fai da insegnante di rap dentro agli istituti penali per minori, riuscendo a portare il genere musicale che parla più di rivalsa e speranza in assoluto, nei posti dove questa spesso sembra mancare. Qual è il ricordo più bello che ti porti dietro da questa esperienza?

Mi porto tanti ricordi straordinari, ci ho scritto un libro e ne potrei riempire altri dieci! In questo momento il primo che mi viene in mente è quello di un ragazzo che stava registrando al microfono dello studio improvvisato che eravamo riusciti a montare in carcere. Proprio in quel momento, bussa un agente di polizia penitenziaria e gli dice: vattene, è arrivata la scarcerazione. Il ragazzo lo interrompe con un gesto di fastidio e gli risponde: finisco di registrare e poi esco! In quel momento mi sono venuti i brividi, mi sono reso conto ancora una volta della forza straordinaria della musica. Quel ragazzo aveva scontato una lunga detenzione, ma l’esigenza di far sentire la sua voce e la sua parola era ancora più forte della voglia di correre fuori! La libertà mentale è ancora più importante, più urgente della libertà fisica.

Il 1 maggio sei salito sul palco del concertone a Taranto, e per l’importanza ideologica che connota il concerto in quella città, è stato bello vedere tanti rapper esibirsi in questa occasione. Cosa ha significato per te rappresentare una fetta importante dell’hip hop su quel palco?

Il concertone del primo maggio a Taranto è stata la conferma che il rap senza concessioni al mainstream, senza stronzate, senza trucchi può salire su qualsiasi palco e farlo saltare in aria. Un’esperienza straordinaria nonostante la pioggia che ha cambiato tutti i piani e costretto a improvvisare un nuovo programma. Visto che potevano esibirci con le basi e non avevamo bisogno di cablare troppi strumenti, noi rapper siamo stati tra i pochissimi che sono riusciti a salire sul main stage perché, per le band, il diluvio rischiava di creare casini ai cavi elettrici. Il calore è stato incredibile, e il clima dietro le quinte altrettanto, anche se pure lì dietro c’erano trenta centimetri di fango! L’unico problema è che avevo delle Jordan nuove bianche e bellissime e ora sono praticamente da buttare… Scherzi a parte, il primo mese dall’uscita del disco è stato straordinario, con concerti incredibili da Dusseldorf a Roma e da Torino appunto fino a Taranto, con migliaia di persone che hanno saltato e ballato insieme a noi. Adesso si apre la stagione estiva, e non vedo l’ora di ripartire per le prossime tappe.

E proprio mentre stavamo chiudendo l’intervista, ecco che esce Illegale, il suo nuovo singolo accompagnato dal videoclip girato in Giappone; a completare la release, arriva anche il un omonimo podcast dedicato alla scoperta della cultura urbana alternativa. Una carriera che non ha nessuna intenzione di fermarsi, insomma, e che fa da specchio alla dedizione costante e rigorosa di un rapper che da tutto sé stesso per amore di questa Cultura.