Il Dialogo Sta Nei Dettagli: Blue Virus ci presenta il nuovo disco

Con un gioco di parole che cattura immediatamente l’attenzione, Blue Virus, rapper torinese classe ’89, ha deciso di proseguire una carriera musicale fatta di introspezione e rabbia ma anche tanta cura per i dettagli facendo uscire a marzo il suo ultimo album. Ce lo siamo fatti raccontare per capire meglio il suo approccio al rap e alla scrittura. 

Ciao Antonio, partiamo subito con la solita domanda: come nasce “Il Dialogo sta nei dettagli”?
Quasi in concomitanza con l’uscita di “Magliette Che Diventano Pigiami EP” pubblicato a Dicembre 2021, io e Polezsky ci siamo messi a lavorare a brani nuovi con l’idea di rilasciare un disco vero e proprio. Ci conosciamo da 15 anni e nonostante le tante collaborazioni pubblicate nel tempo è la prima volta che abbiamo lavorato fianco a fianco ad un progetto intero. Ha stimolato entrambi, è stato bello.

Il disco ha dei feat. molto diversi tra loro, come li hai scelti?
Hanno tutti un aneddoto diverso: alcuni si sono “scelti da soli”, come ad esempio i WISH YOU WERE DEAD (il mio gruppo, assieme a Yota Damore e Nick Sick) presenti in un brano registrato addirittura nel 2020 e mai pubblicato, altri sono stati volutamente scelti per quei tipi di brani, come MadMan, Shade o Mondo Marcio, e così via. Sono contento di avere racchiuso all’interno di questo progetto tutti (o quasi) gli amici di sempre, con un paio di nomi inediti ed inaspettati per chiunque, me compreso.

Come in molti dei tuoi lavori, le sonorità si contrappongono alle liriche taglienti, dirette e un po’ autodistruttive. Ci puoi raccontare come vivi il lavoro di produzione con Polezsky e in generale qual è il processo di scrittura di un tuo brano tipo?
Ho attraversato diverse fasi di scrittura, da quella su carta a quella esclusivamente su cellulare, passando per il PC. Ora alterno un po’ cellulare e portatile: ho svariate note sull’iPhone dove appunto pensieri, rime, incastri e tutto quello che mi viene in mente a mò di flusso di coscienza durante la giornata, per poi mettermi al computer, fare ordine e completare il suddetto brano. Quindi di conseguenza lavorare con un produttore, in questo caso Polezsky, ha un po’ questo effetto “caotico” che in realtà caotico per noi non è, dipende da cosa stiamo facendo: posso arrivare io con una reference e dirgli che vorrei fare una cosa con quello stampo lì, può mandarmi lui un’idea partorita da zero, possiamo essere insieme e decidere come procedere. Grazie al cielo esistono sempre diverse opzioni per mettersi a lavorare, così non ci si annoia.

Ora che momento stai vivendo a livello musicale? E che feedback stai ricevendo dal disco?
Devo essere sincero con te, non ho idea di cosa farò. È un discorso piuttosto delicato e non saprei nemmeno come affrontarlo in un’intervista, senza contare che io stesso attualmente non saprei esprimermi in merito. Il disco sta andando bene per i suoi standard, non parliamo di certificazioni all’orizzonte ovviamente, ma il calore del pubblico esiste e fortunatamente non mi ha mai abbandonato, però mi sono accorto che ho sempre meno da dire, forse perchè in quest’album (che ha preso più di un anno di lavoro, senza contare tutti i brani scartati) ho messo davvero tutto e non per modo di dire: ho curato (il dialogo sta) nei dettagli ogni testo affinchè tutto suonasse come me lo ero prefissato. Ormai per me scrivere significa questo. Anche una strofa freestyle, quindi rime senza nè capo nè coda, nella mia testa deve suonare come qualcosa che abbia un tema e/o una direzione, altrimenti non trovo il senso di registrarla. Quindi lascio chi mi segue e leggerà queste righe un po’ nel limbo, tipo me in questo momento.

Ti sei recentemente esibito live a Bologna, Milano, Torino e Roma. Vuoi raccontarci qualcosa su questi quattro live? Come vivi i tuoi concerti?
Ho un rapporto d’amore/odio con il palco. Ho sempre suonato, alle volte in situazioni davvero interessanti così come nei posti peggiori per farmi le ossa, ma la sensazione rimane sempre un po’ quella: se il mood della serata è positivo, posso anche essere davanti a 50 persone e tornare a casa contento di come sia andato il tutto, se però qualcosa non quadra in partenza posso essere nel locale col sold out più bello del mondo e sentirmi frustrato. I miei testi poi sono pieni di parole, spesso rappo strofe serrate, quindi in vista di un evento capita di fare le prove a casa anche mesi prima, proprio per arrivare preparato sul palco. Sento ancora il peso di avere fatto sufficientemente schifo a scuola negli anni, quindi tento di essere il più professionale possibile nel mio campo.