“Addio, a domani”, il disco più personale di Don Diegoh – Talk

Ho conosciuto Don Diegoh anni fa in apertura ai 99 Posse a un concerto al Laboratorio Crash! di Bologna, era poco uscito il suo disco “Latte e Sangue” che vedeva le produzioni di un colosso della scena rap italiana come Ice One. Ora, dopo alcuni anni, e con un nuovo disco appena uscito dal titolo “Addio, a domani” ho voluto intervistarlo per chiedergli come la sua carriera fosse evoluta da quelle rime serrate a un’approccio più intimo e musicale ai suoi brani.

Ciao Diego, raccontaci un po’ la genesi del tuo nuovo disco “Addio, a domani”.
Ho iniziato a scrivere questo disco a Marzo 2020, a casa mia a Roma, sentendo da subito l’esigenza di sfruttare al meglio un momento di solitudine e ho da subito provato ad individuare quello che poteva essere il mood, che comunque è stato pressoché spontaneo, e ho provato poi a costruire un filo logico e un concept e tutto è accaduto in maniera molto immediata.

Il risultato di un disco scritto in pandemia è che risulta tutto molto introspettivo, questi periodi di lockdown e chiusure ti hanno portato a guardarti ancora più dentro? Come ti sei vissuto la pandemia con il tuo lavoro da artista?
Sicuramente è stato un momento in cui, per forza di cose, ci siamo guardati tutti un po’ più dentro, abbiamo provato a riparametrare alcuni aspetti della nostra vita e fare delle scelte. Io sicuramente ho fatto, in questi quasi due anni, una serie di scelte che ho potuto comunque reputare funzionali al mio percorso. Quindi si, la risposta sotto questo punto di vista è si. Come me la sono vissuta sinceramente? Lavorando molto, non solo alla musica ma soprattutto a quella, trascorrendo prima dei mesi a casa a Roma, e poi alcuni mesi a Crotone, poi facendo una scelta di vita venendo a Milano nel febbraio del 2021, quindi in qualche modo ho cercato di essere il più possibile attivo dal punto di vista artistico. Grazie a Macro la prima cosa che ho fatto a Marzo 2021 è stata quella di comprarmi un microfono USB per registrare, registrare, registrare, e questa cosa ci ha dato anche la possibilità di essere anche molto a contatto e oltre a badare al presente ad avere una finestra aperta sul futuro, in un periodo in cui c’era poco di chiaro. Lato artistico e lato personale sono andati anche un po’ a sovrapporsi se vuoi. Se devo dirti se è stato un bel periodo o un brutto periodo non è una risposta semplice, nel senso che a livello oggettivo è stato un brutto periodo, a livello soggettivo è stato un periodo di reazione al resto che c’era fuori.

Dai tempi di “Latte e Sangue”, quando io ti ho scoperto, hai virato verso una musicalità più melodica ed emotiva, come mai hai sentito questa esigenza? È legato al discorso che mi dicevi prima o era già un percorso che avevi deciso di intraprendere?
Sicuramente perchè un disco di quel tipo c’è già, poi, secondo me, c’è stato un disco che è stato ancora diverso rispetto a quel disco, che è “Disordinata Armonia”, dove secondo me abbiamo anche costruito delle basi per poi arrivare a dove abbiamo provato ad arrivare oggi. Questo disco parte da un’esigenza che io in realtà avevo da sempre, che era quella un po’ di costruire qualcosa di intimo e, nel frattempo, di musicale, il più possibile aperto fruibile e semplice nei concetti, di ampio respiro tra una barra e l’altra. Domani, nel caso dovesse esserci, un ragazzo che ascolterà la discografia del sottoscritto, avrà una sorta di percorso, che parte anche da prima del 2015, dove può trovare delle robe che mi piacciono ancora adesso, quindi con delle barre serrate e dei beat di una certa maniera, con degli episodi, già all’epoca, simili a quello che ascolti oggi e poi potrà trovare un album in cui a 37 anni, invece, ho preferito dare voce al mio io interiore e tirare fuori una parte di me che non avevo mai tirato fuori.

È il terzo album che fai tutto curato da un singolo produttore, o comunque per la maggior parte,  questa cosa ti fa sentire più a tuo agio, ti permette di costruire un progetto più coerente e coeso.
Qui Gheesa è quello che ha prodotto più tracce e ha confezionato tutto il vestito sonoro del disco, andando anche a co-produrre alcune basi insieme ad altri, poi c’è Macro Marco, che ha la base dell’ultimo brano “Spine”, due ragazzi di Crotone, Deja e Nife, e poi ci sono i fratelli Cosentino che hanno prodotto due brani, il primo singolo uscito che è “Sagittario”, e l’altro è “Inferno Privè”. È quasi un marchio di fabbrica per me lavorare in combo con un producer, ma ho sentito l’esigenza di aprirmi, mantenendo comunque dei punti fermi. Io sento che i due producer cardine del disco sono Gheesa, perchè ha seguito tutta la lavorazione del disco e mi ha dato una mano sulla linea melodica, e Macro Marco, perchè, in realtà, nonostante magari non sia intervenuto sulle singole produzioni, c’è dietro sempre un’accurata condivisione di tutte le basi e di tutti i pezzi, di tutto quanto il contenuto prima di darlo alla luce. Questa struttura e questa ossatura c’è sempre, poi c’è stata un po’ l’esigenza di andare a prendere dei produttori con cui non avevo mai collaborato. In realtà l’idea di non lavorare con un solo Producer, era anche il fatto che, essendo un disco molto intimo, volevo avesse comunque il mio nome e che fosse visto comunque come un disco da solista, anche se in realtà non lo è mai, dietro c’è sempre un team di persone con cui lavori.

Ci sono parecchie parti molto cantate in questo disco, soprattutto nei ritornelli, come ti sei trovato a confrontarti con questo nuovo modo di cantare?
Diciamo che per me è stata un po’ una sfida, era una delle sfide che io volevo in qualche modo intraprendere, non mi reputo e non mi considererò mai un cantante, però sentivo l’esigenza di aprire un po’ e di far respirare un po’ di più il tutto e di mettermi in discussione in prima persona. Volevo in qualche modo costruire un genere diverso rispetto ai miei precedenti, con il supporto ovviamente di chi ha messo mano alla musica, esplorare altri suoni, altri strumenti e metterci del mio, quindi non limitarmi esclusivamente a delle strofe che potevano essere rap al 100% ma magari andare a provare a stupire, prima di tutto me stesso, poi l’ascoltatore. Dopo aver fatto un po’ di cose senti sempre l’esigenza di provare ad evolverti. 

Nel rap c’è stata una grande esplosione di popolarità, con una nuova scuola, nuove sonorità. Come ti interfacci a questo fenomeno? Ci sono punti di scontro e punti di scontro?
Punti di scontro nessuno, anzi sono super preso bene da alcuni di loro, io faccio sempre una distinzione tra musica bella e musica non bella e dipende anche molto dal gusto personale, non ne faccio una distinzione di scuole e alle volte neanche di generazioni. Io penso che ognuno di noi ha il diritto di esprimere il proprio talento e ci sono delle cose che personalmente mi arrivano di più e alcune di meno, ma questo anche nel rap, io posso benissimo ascoltarmi un disco rap, italiano o americano, che, da 0 a 10, mi da due stimoli, e ascoltarmi un disco che non è rap, non è trap ma che in quel momento mi da tanto. I pilastri fondamentali sono sempre due, il mood in cui sei al momento dell’ascolto, e cosa cerchi in quel momento.

Il disco è appena uscito ma hai già dei progetti o dei sogni per il futuro?
Assolutamente si, nel senso che comunque ovviamente ci sono delle cose in cantiere anche se è prematuro parlarne in questo momento. Il primo sogno è portarlo in giro questo disco, e al momento di questa intervista nulla è dato per scontato. Per il resto sono già alla ricerca di nuovi stimoli, ci sono altre cose che vorrei fare a livello musicale e ho una mezza idea di come vorrei farle.