RoBOt #11: festival walk-through

Torna operativa la categoria Elettronica con il nostro primo live-report senza foto: una passeggiata ad occhi chiusi tra i suoni dell’Ex-Gam e dello spazio Dumbo per l’edizione 2019 del RoBOt Festival.

La settimana si porta addosso tutto il peso di un tempo avverso, in cui il sonno arretrato del weekend si mischia con gli impegni e le ansie verso il futuro imminente, ansie che sorgono imperanti e senza alcun riguardo verso la nostra tranquillità. Ma questa è la storia di una vita, ed è sempre meglio cullarsi nei dolci ricordi. Dato che la causa principale del mio sonno arretrato è stata data dall’appena trascorso Robot festival, mi sono concentrato su di esso.

E’ sempre difficile dare un resoconto seriamente oggettivo di un festival del genere, in quanto già il fatto di non poter assistere a spettacoli tra loro concomitanti presuppone che in partenza si sia fatta una scelta sulla base dei propri gusti, da un lato, e dell’hype creato attorno ad una determinata esibizione, dall’altro. Quindi si potrebbe declinare la storia del mio festival come un’alternarsi di aspettative deluse o confermate, e di piacevoli sorprese, di cui parlerò seguendo una linea temporale, che è la stessa del festival.

La prima serata, svoltasi interamente all’ex-GAM, ha visto una bella ripartizione tra gli artisti delle due sale, riuscendo nel complesso a tenere il filo del discorso tra un artista e l’altro. In particolare, mi è sembrata azzeccata la combo Toulouse Low Trax e Red Axes.
Il primo si è esibito in un live lento (come suggerisce il nome) e “trippy”, con un’atmosfera abbastanza dark e alienata data dalla peculiarità dei campioni scelti e dal rarefarsi dell’elemento percussivo, che di tanto in tanto però ritornava regolare e marcato.

Il duo israeliano, esibitosi subito dopo, continua ad ipnotizzare il pubblico ma creando un’atmosfera completamente diversa: un dj set onirico in cui i suoni delle chitarre distorte vanno a fondersi con le macchine colorando l’oscuro ambiente circostante grazie ad una selezione che, pur non essendo live, rispecchia in toto lo stile dei due artisti, ormai affermati alfieri di questa (fresca) declinazione della psichedelia.

Detto questo, credo che la vera sorpresa della serata sia stata il djset di Badsista, dj e Producer di San Paolo. E’ stato divertente notare il contrasto tra un John Talabot a mio avviso non particolarmente entusiasmante e l’energia di questa ragazza venuta direttamente dai party brasiliani di Mamba Negra, che recentemente ha acquistato rilievo nella scena dance (figurando accanto a nomi come Mina, Herrensauna ecc.)

Un’ora e mezza che ha visto alternarsi sonorità dancehall e reggaeton a tracce acid (e anche trance) in un amalgama a mio avviso davvero ben fatto, in cui le diverse sfumature della dance più “cruda” trovavano ognuna un suo posto anche animando le gestualità dei corpi di chi era presente.
Merita a questo punto una menzione speciale la sala Opium (in quanto cerniera tra entrambe le serate all’ex-GAM) , curata dai ragazzi di Quarto Mondo, che per entrambe le serate hanno riempito i miei momenti di stallo, deliziando me come tutti i presenti con il loro spettacolo, davvero curato sia dal punto di vista dei video che della musica: onestamente non avrei mai pensato di vedere in quest’occasione una proiezione di Kenneth Anger, fantastico.

Nel giorno seguente la sala Indaco, covo di nuove promesse e ritmi più rave, è stata attraversata da Afrodeutsche, dj molto valida che raccoglie l’eredità del rave anni ’90 per poi fonderlo con sonorità odierne, alternando tracce iconiche e scolpite nella storia con nuove uscite.
Se qui già dalla prima serata si ballava ad un ritmo già abbastanza sostenuto, con l’alternarsi di amen break, bleep acidi e loop di piano in pieno stile acid house, chi era presente nel Main Stage ha assistito alla performance di Alessandro Cortini, un live A/V entusiasmante, dalle sonorità epiche e uno spettacolo nel complesso soddisfacente e in linea con le precedenti produzioni, capace di incantare il pubblico con la corrispondenza tra immagini e musica, creando una totalità decisamente sublime.

Seguiva a questo live il djset di Andrew Weatherall, chiaramente una certezza qualitativamente parlando, ma a cui ho preferito l’ascolto di Batu, un produttore di cui rimasi stregato sin dai tempi della sua uscita con XL recordings. E le aspettative non sono state deluse, sebbene sia dovuto scappare per raggiungere il Dumbo, luogo dove si sarebbe tenuto il closing party.
Quest’ultimo ha rappresentato sicuramente la location più bella del festival, dando quel tocco da warehouse di cui certamente si sentiva la mancanza attraversando l’ex-GAM.

Su questo palco ho avuto la fortuna di assistere allo spettacolo degli 808 State, da cui son rimasto del tutto incantato. Uno spettacolo poderoso ed energico, in cui si mischiavano esecuzioni live del nuovo, interessantissimo album con le tracce che han fatto la storia non solo del gruppo, ma della storia dei rave in generale. Un’ora di energia pura che per me ha rappresentato l’apice di questo festival.

Seguiva poi il lungo set di Donato Dozzy, artista di rara eleganza e bravura sia nella produzione che nella selezione, e che anche stavolta ha dimostrato di essere uno dei nomi di punta della techno italiana, sebbene probabilmente risultasse leggermente antitetico con quanto ascoltato prima.                Una nota di merito va poi anche al lavoro fatto in questo spazio dai ragazzi di Beat Project, che si sono fatti carico del drug checking e della riduzione del danno.

Nel complesso posso dire di aver fatto una bella esperienza, soprattutto dal punto di vista musicale: è stato bello soprattutto il vedere un certo livello di qualità essere espressa da glorie già affermate cosi come da nuovi nomi, che personalmente attendevo ansiosamente di vedere e che hanno temporaneamente colorato un ambiente che, come ormai sempre più spesso accade, sarebbe (ingiustamente) altrimenti troppo asettico.

🐞 Segui BUGzine su Facebook ed Instagram.