Skins, l’album “a metà” di XXXtentacion

Questa è la recensione di un album postumo e comincio dicendo che non vorrei scadere nei soliti cliché.
Tutti sanno che X è morto e tutti sanno quanto fosse tormentato e controverso sia sul piano artistico, sia sul piano personale. Quindi lascerò perdere i particolari sull’omicidio del rapper, i cazzotti che ha preso sul palco, gli insulti a Drake e tutto il resto.
Parlerò solo dell’album.

Skins è uscito lo scorso 7 dicembre ed è il terzo album in studio di XXXTentacion (ma anche il primo album postumo). Inciso in seguito ad un contratto da dieci milioni con Empire Distribution, il disco dura 19 minuti arrotondati per eccesso.

Questa è la prima cosa che mi ha colpito dell’album: è davvero cortissimo.
Il fattore durata non è negativo di per sé; in questo caso però diventa una componente che sommata ad altre fa risultare Skins un album “a metà”.

Brutta espressione, ma ora vi spiego.

Comincerei con Train Food e Whoa, entrambe emblematiche di questo LP.
Train Food è una metafora sulla depressione, scandita da un pianoforte mortifero. Con chiari riferimenti autobiografici, X dipinge un quadro dalla narrazione a metà tra il concious e l’esoterico. Whoa, invece, tratta con tenerezza il rapporto tormentato con se stesso e con la madre.

A livello concettuale non sono trovate banali, peccato che strida (in modo particolamente fastidioso nel caso di Whoa) il contrasto tra la delicatezza dei temi trattati e il pressappochismo della realizzazione: le poche parole dei testi potranno anche essere il prodotto del background Soundcloud rap dell’artista, ma tra la semplicità delle strumentali e le ripetizioni in loop di alcune parti cantate si ha il sospetto di ascoltare un prodotto superficiale, realizzato in modo un po’ sbrigativo.

Altra occasione mancata è quella della sesta traccia.
Ascoltando la prima parte di STARING AT THE SKY non ho potuto fare a meno di pensare ai Blink-182 e ai pomeriggi più depressi della mia preadolescenza. Il riff è super-super-orecchiabile e il brano è perfetto per il target più giovane. Peccato per la mancanza di variazioni sulla melodia della chitarra e del cantato (per altro identiche tra loro); la canzone così risulta un po’ monotona.
Bella la seconda parte tutta screamata.

Anche qui torna la metafora delle “metà”: mi è piaciuta molto l’idea un po’ grunge del contrasto tra quiete e tempesta, un po’ meno la sua realizzazione.

Fatta eccezione per qualche traccia si ha spesso l’impressione di ascoltare qualcosa di forzato, un insieme di avanzi e scarti ricuciti tra loro e riconfezionati senza alcuna cornice. La conseguenza naturale è che si legga questo disco come un puro oggetto di commercio, arrangiato alla svelta solamente per saziare la fame incombente dei tanti fan di XXXtentacion.

Prima di consacrare definitivamente questo scritto alla lunga lista degli articoli criticoni e pallosi passerei alle note positive dell’album.

L’ingresso a gamba tesa di Kanye West sulle chitarre nu metal di One Minute è ossigeno puro. Dopo sei tracce, la grinta di un brano come questo era praticamente necessaria per non appesantire troppo l’atmosfera.

Ye è l’unico ospite dell’album, i temi che tratta sono i soliti (vittimismo, tenacia, autocelebrazione, strettamente in quest’ordine), e come al solito o lo amiamo o lo odiamo. Nel testo Kanye, ormai specializzato nel prendere posizioni scomode, sembra spezzare una lancia in favore di X e del suo controverso passato:

“The world only know you by your worst mistakes”
il mondo ti conosce solo per i tuoi sbagli più grandi

XXXTentacion sembra davvero essere stato aggiunto in “post-produzione” nella seconda metà del brano, tuttavia bisogna ammettere che il suo scream, sulla batteria incalzante (dal minuto 1.54 in poi) e sul droppone finale, fa un certo effetto.

Guardian Angel invece è proprio un gioiellino.
Trattasi di un doloroso sfogo di X, costruito sul campionamento di Jocelin Flores (hit dell’album precedente). Il campione, riprodotto al contrario, garantisce alla traccia un’identità a metà tra una litania ipnotica e una preghiera satanica (direi perfettamente in linea con l’attitudine dell’artista).

Riassumendo: “album a metà” è un’espressione un (bel) po’ infelice per descrivere Skins sia a livello concettuale sia a livello sostanziale. Infatti se la struttura dell’album rispecchia bene l’anima divisa dell’artista (incazzata da un lato, sensibile e introspettiva dall’altro), la realizzazione concreta sembra avere grosse lacune.