George, Ahmaud e gli altri: escalation di razzismo in USA

Una persona assassinata dalla polizia, una persona inseguita ed uccisa a sangue freddo, una persona segnalata alle autorità senza motivo. Cos’hanno in comune questi tre? Il colore della pelle.

La rabbia esplode in Minnesota dopo l’omicidio di George Floyd da parte di un agente di polizia, le sue ultime parole “I can’t breathe” sono le stesse di Eric Garner, vittima della violenza in divisa che contribuì a far esplodere il movimento #BlackLivesMatter nel 2014.

Le immagini della brutalità subita da George Floyd stanno facendo il giro del mondo ma episodi come questo si perpetrano da sempre sulla comunità nera in America e negli ultimi giorni c’era stata una vera e propria escalation di razzismo.

All’inizio di maggio è emerso il caso di Ahmaud Arbery, un venticinquenne nero inseguito in auto da due bianchi e ucciso a colpi di fucile. Il fatto è avventuo a febbraio e l’omicida è Gregory McMichael, ex-ufficiale di polizia di 64 anni, accompagnato dal proprio figlio 34enne, fino ad oggi i due non erano stati condannati avvalendosi della legittima difesa, fino a che a maggio un nuovo video ha dimostrato che si era trattato di un omicidio intenzionale. McMichael sospettava che Arbery avesse commesso una violazione di domicilio, sentendosi così legittimato a farsi giustizia privata ha armato se e suo figlio e lo ha inseguito su un pick-up come in una battuta di caccia.

L’altro caso di questi giorni, sebbene meno cruento, è altrettanto esemplificativo di cosa significhi essere di colore in America. Si tratta di una vicenda avvenuta a Central Park: un cittadino stava filmando un abuso subito da un cane domestico, strozzato per il collare da una donna bianca, Amy Cooper. Una volta approcciata del passante la donna ha chiamato la polizia (mentre l’animale si divincolava) dicendo di star venendo aggredita, sottolineando più e più volte che si trattava di un afroamericano.

immagini sensibili

Amy Cooper sapeva che per un nero la polizia rappresenta una minaccia e che le probabilità che intervenisse un poliziotto razzista pronto a andarci giù pesante senza fare domande erano altissime. Allo stesso modo i McMichael sapevano che come ex-poliziotti bianchi se la sarebbero cavata facilmente davanti alla legge, è di fatto è stato così fino a che un video non li ha incastrati.

Quello che vediamo oggi, oltre alla legittima rabbia che si riversa nelle strade, è il fenomeno della cosiddetta “social media justice”: la risonanza mediatica di questi eventi ha fatto si che Amy Cooper venisse licenziata e allontanata da Central Park, mentre gli agenti coinvolti nell’omicidio di George Floyd sono stati immediatamente dimessi, cosa che agli assassini di Eric Garner non era successa.
Questo comportamento da parte delle autorità serve a calmare le acque e a non perdere consensi, così come l’azienda vuole preservare la propria immagine licenziando un caso di razzismo divenuto virale.
Non è molto, ma è qualcosa che si può ottenere anche solo dando visibilità a questi fatti.

In queste ore le strade di Minneapolis e di altre città americane sono messe a ferro e fuoco dalla popolazione, oltre agli scontri con la polizia (prese d’assalto sia la centrale che la casa dell’assassino) si registrano numerosi saccheggi nei supermercati e nei negozi di elettronica.
La lotta antirazzista si riaccende e si intensifica, perchè George e Ahmaud non vengano dimenticati e perchè altri non debbano subire la loro sorte.

La strada per una società equa e solidale è ancora lunga e dobbiamo solcarla insieme.